Besseghini: “Italia leader nelle smartgrid. Ricerca ancora fatica a emergere”

Nella nuova Sen c’è un’apertura importante sulla ricerca, soprattutto viene indicato un aumento degli stanziamenti. Dal secondo Forum mondiale di Mission Innovation, che si è chiuso a Pechino l’8 giugno, è stato confermato l’impegno per accelerare l’innovazione e rendere l’energia pulita, accessibile e conveniente in tutto il mondo. L’Italia come è posizionata, visto anche il ruolo di coordinamento assegnato al nostro paese insieme a Cina e India sulle smartgrid? Lo chiediamo a Stefano Besseghini, Amministratore delegato di RSE

Credo che l’Italia nei fatti più che nelle dichiarazioni ben posizionata sul fronte della innovazione nel settore energetico. Mission Innovation ha avuto certamente il merito di richiamare a un maggiore investimento nel settore della ricerca ma ha ne ha avuto anche un altro. Identificando un certo numero di settori su cui concentrare questo sforzo, ha chiesto ai singoli Paesi di fare delle scelte di merito. L’Italia ha indicato un solo settore di livello A, quello delle smartgrid appunto. Ha poi indicato un certo numero di settori di interesse B (coinvolgimento attivo ma nessuna leadership) e ai rimanenti temi è stato assegnato un livello C, una posizione di osservatore in attesa di comprendere l’evoluzione del tema. Il fatto poi che India e Cina abbiano chiesto di svolgere il ruolo di co-lead riconoscendo il ruolo italiano in termini di contenuti e leadership industriale credo sia il primo indicatore della correttezza della scelta fatta. Non si deve dimenticare che questo ruolo internazionale dell’Italia è anche la naturale prosecuzione di un’azione pluriennale sviluppata nell’ambito di Isgan (Implementing Agreement for a Co-operative Programme on Smart Grids).

L’iniziativa di Mission Innovation ben si integra con quanto avviene a livello europeo nell’ambito del set plan e di Horizon 2020 ma con un’importante differenza. In Horizon 2020 dobbiamo competere per riportare in Italia risorse aggiuntive su temi che certamente contribuiamo a definire ma che sono l’inevitabile mediazione tra le necessità di diversi Paesi. In Mission Innovation abbiamo la possibilità di rinforzare eccellenze nazionali costruendo filiere orizzontali di collaborazione che vedono centrale lo sforzo di ricerca ed innovazione che dobbiamo compiere a supporto della competitività del nostro sistema industriale. In questo senso credo sia di grande importanza che il primo workshop tematico di Mission Innovation sia stato proprio IC#1 (sulle smartgrid, ndr) a Pechino. Soprattutto sono state importanti non solo le presenze di natura istituzionale e industriale ma anche la partecipazione di realtà (penso in primis al World Economic Forum) che hanno colto il potenziale di questa iniziativa.

Uno dei problemi delle iniziative multilaterali è spesso una certa dispersione e possibile defiscalizzazione: un ritmo sostenuto e chiarezza di obiettivi sono due condizioni necessarie per il successo della leadership italiana in questo settore. Le altre due condizioni sono il coordinamento con iniziative affini in grado di favorire la diffusione nei Paesi delle best practices (bene quindi il legame proprio con Isgan e Wef) e il raccordo proprio con le aziende che immediatamente possono tradurre l’innovazione in vantaggio competitivo. Il coinvolgimento di Enel ne è un esempio, ma contiamo di poter aggiungere anche altri soggetti della filiera dell’elettrotecnica ed elettronica di potenza in cui l’Italia riesce a essere protagonista.

RICERCA: PER UNA “PIATTAFORMA DI COLLABORAZIONE” CON IL SISTEMA PRODUTTIVO

A livello nazionale c’è un riconoscimento del ruolo della ricerca? Quali sono le eccellenze italiane?

Credo si tratti di intendersi. Come ho avuto spesso modo di dire, la ricerca italiana riesce tranquillamente a competere a livello internazionale e non sono certo rari gli esempi di protagonisti italiani in settori tecnologicamente avanzati. Quindi sì, c’è un riconoscimento del valore diciamo assoluto o se preferisce obiettivo della ricerca italiana. La ricerca però è raramente un valore in sé. È tanto più un valore se riesce a costruire una piattaforma di collaborazione con il sistema produttivo del Paese che la finanzia e se riesce con questo a stabilire un patto di fiducia di medio periodo.

Purtroppo su questo fronte la ricerca italiana fatica a essere riconosciuta. Le ragioni sono molte e sarebbe troppo ambizioso pensare di poterle sintetizzare in poche battute, ma due si possono citare abbastanza facilmente. Si tratta di due debolezze e non sempre unendo due debolezze si realizza una forza. La prima è la debolezza della ricerca pubblica che manca di una visione di medio/lungoperiodo ma soprattutto di programmi di finanziamento e supporto di analoga durata. Un settore troppo impegnato in una spesso feroce competizione interna per la sussistenza fatica ad aprirsi alla collaborazione e tende a disperdersi in funzione della disponibilità economica più che concentrarsi sulla coerenza tematica.

La seconda è la debolezza di un settore privato che non ha una tradizione di ricerca e un significativo impegno in questo campo. Viene spesso ricordato che la spesa in ricerca dell’Italia è di poco superiore al punto percentuale di Pil, quindi troppo bassa, ma il fatto che spesso sfugge è che a questo punto percentuale contribuisce in larga parte la ricerca pubblica essendo largamente deficitario il settore privato che in Paesi a noi omologhi invece pesa per una quota circa corrispondente. Sono consapevole della brutale approssimazione di queste considerazioni ma possono essere utili punti di partenza.

RICERCA DI SISTEMA: UNA FELICE INTUIZIONE

Lei spesso ricorda che l’Italia ha uno strumento significativo che è il Fondo per la ricerca di sistema, funzionante da 17 anni. Quali sono secondo lei i campi della ricerca dove il sistema Italia è ancora deficitario e dove si potrebbe intervenire?
Rispondo a questa domanda in coerenza con la precedente. Io credo che la felice intuizione di chi ha pensato il modello della ricerca di sistema sia stato quello di dotare il paese di un fondo stabile grazie a cui sia possibile realizzare una ricerca di medio periodo. Non è uno strumento perfetto per qualche aspetto sia di natura strutturale che di natura contingente e operativa, ma quando è stato impiegato correttamente ha dimostrato di saper dare i necessari segnali sia di stabilità per la programmazione degli investimenti che di riorientamento delle tematiche di ricerca. Uno strumento quindi molto utile nel panorama della ricerca italiana ma anche caratterizzato da condizioni uniche come l’identificazione di un set limitato e definito di attori in grado di rispondere con coerenza nel tempo delle scelte fatte e delle attività svolte.

Detto questo non credo ci sia un settore specifico su cui si debba intervenire dal punto di vista tematico. Piuttosto credo che vi sia un ambito del lungo percorso che unisce ricerca e innovazione in cui si dovrebbe intervenire con analoga decisione ed efficacia ed è quello dello sviluppo. Sempre ragionando per schemi, con tutte le limitazioni che questo comporta, è quello l’ambito in cui si esplora la catena del valore e in cui si gettano i ponti tra ricerca ed industria che sopravvivono alla fase del progetto.

La nuova Sen lascia intravvedere una nuova attenzione a questi temi richiamando ad esempio sia l’aspetto di una programmazione della ricerca in una prospettiva più ampia sia ponendo l’accento su alcuni fondi che erano già stati stanziati proprio per la realizzazione di iniziative di sviluppo e che a partire dal 2017/2018 dovrebbero nuovamente rendersi disponibili.