Biocombustibili avanzati: Mossi Ghisolfi, una eccellenza italiana

La concentrazione di CO2 in atmosfera, secondo i dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale resi noti pochi giorni fa, ha superato in maniera stabile e globale le 400 parti per milione. Prima dell’era industriale era a quota 280. Per fermare un cambiamento climatico potenzialmente devastante, l’accordo di Parigi del dicembre scorso ha stabilito che non va assolutamente superata la barriera di 1,5 – 2 gradi di aumento della temperatura rispetto all’inizio dell’Ottocento. In questo quadro i biocombustibili possono svolgere un ruolo prezioso. Ma la tecnologia è matura? O c’è ancora lavoro di ricerca da fare?

“Il lavoro di ricerca non finisce mai. Per fortuna, perché vuol dire che si continua a progredire”, risponde Dario Giordano, responsabile del settore rinnovabili del gruppo Mossi Ghisolfi. “Bisogna migliorare le rese, allargare il ventaglio delle biomasse utilizzate, perfezionare gli impianti. Ma il nostro stabilimento di Crescentino (Vc), che ricava biocarburanti di seconda generazione partendo da paglie di grano, di canna da zucchero, della colza e da sostanze legnose dimostra che la tecnologia è già pronta per affrontare la sfida climatica. Tra l’altro usiamo sistemi environmental friendly: il vapore invece di sostanze chimiche per rompere la struttura della cellulosa”.

Che evoluzione prevede per il settore?
“Stiamo costruendo un altro impianto in Slovacchia. Le possibilità di sviluppo sono buone: il ministro indiano dei trasporti, che è recentemente venuto in visita al nostro stabilimento di Crescentino, ne ha tratto un’impressione molto positiva. Più in generale c’è da dire che gli spazi di crescita sono molto ampi perché oggi più del 90% dei trasporti è oil based e in Europa la percentuale arriva al 95%. Inoltre ridurre il ruolo dei combustibili fossili vuole anche dire migliorare la qualità dell’aria. L’Europa ha iniziato a riflettere su queste tematiche da parecchi anni e nel 2009 ha adottato il Climate and Energy Package il cui obiettivo è contenere la predominanza dell’uso del petrolio nel settore dei trasporti ponendo un target minimo del 10% di risorse rinnovabili nell’energia utilizzata nella mobilità. Con il National Renewable Energy Action Plans e la sua successiva revisione, gli Stati membri hanno previsto che di quel 10% il 7% al massimo sia costituito dall’uso dei biocarburanti di prima generazione, mentre il restante 3% sia costituito da biocarburanti di seconda generazione, tra cui anche l’etanolo cellulosico”.

Eppure negli ultimi anni la situazione non è migliorata.
“È vero, le emissioni nel settore dei trasporti in Europa sono aumentate del 26% rispetto ai livelli del 1990 e rappresenteranno la fonte primaria di emissioni in Europa entro il 2030. Ma l’industria dei biocarburanti avanzati può dare un contributo significativo alla riduzione delle emissioni: mentre l’etanolo convenzionale può arrivare fino ad un massimo di 60% di riduzione dell’emissioni rispetto ai carburanti fossili, quello avanzato può superare il 90%. Il punto è che con un prezzo del petrolio ancora basso, in assenza di politiche di lungo periodo e di multe per chi non rispetta la policy, non si riuscirà ad introdurre significative quote di advanced biofuels”.

I problemi creati dalla prima generazione di biocarburanti sono definitivamente superati?
“Sì perché i biocarburanti avanzati non competono con la produzione agricola: possono utilizzare i residui come la paglia del grano, del riso, gli stocchi del mais. Non utilizzare cereali per la produzione di biocarburanti impedisce quindi di competere con l’industria alimentare e può garantire anche una certa libertà dalle fluttuazioni dei prezzi dei cereali”.

BIOCOMBUSTIBILI: L’IMPORTANZA DI SOLUZIONI FLESSIBILI

Quali sono le tecnologie più promettenti per aggiudicarsi una quota dei nuovi mercati?
“Quelle che si sono dimostrate più flessibili nell’accettare diversi tipi di biomassa provenienti dai residui agricoli, dalle biomasse legnose, dagli scarti agroindustriali quali la bagassa della canna da zucchero, oppure da colture energetiche come il miscanto. Questo elemento è importantissimo perché permette di costruire una supply chain della biomassa variegata che può consegnare alla bioraffineria per tutto l’anno il feedstock scegliendolo a seconda della disponibilità e del prezzo. La tecnologia che usiamo ha in sé questa capacità e per questo il suo sviluppo può avvenire a diverse latitudini, con varietà di biomassa differenti”.

Quali paesi si stanno attrezzando meglio?
“Oggi vediamo grande attenzione verso i biocombustibili in Europa. La Germania ha già fissato il target del 3.5% di riduzione nel 2015 e del 6% nel 2020 e sta anche pensando all’introduzione di un obiettivo specifico sugli advanced biofuels a partire dal 2020. La Finlandia ha invece deciso un traguardo molto ambizioso ovvero il 40% dell’uso di sustainable biofuels nei trasporti entro il 2030 e si sta già parlando di un mandato per gli advanced biofuels allo 0.5% o più. La Francia ha fissato un obiettivo obbligatorio del 15% di energie rinnovabili nei trasporti entro il 2030, con il 10% per i biocombustibili convenzionali, 3-4% per quelli avanzati e poi auto elettriche e fuel cell per contribuire al raggiungimento del target. L’Italia invece ha stabilito nell’ottobre 2014 un traguardo specifico per i biocarburanti avanzati a partire dal 2018 (target di miscelazione dell’1.2%) e fino al 2022 (target del 2%)”.

E fuori dall’Europa?
“Negli Stati Uniti esiste un programma – conclude Dario Giordano, responsabile del settore rinnovabili del gruppo Mossi Ghisolfi – ben codificato per lo sviluppo dei biocombustibili avanzati: il RFS (Renewable Fuel Standard). Il Brasile non ha ancora sviluppato qualcosa di simile ma avendo sul territorio un’industria di etanolo di prima generazione così ben sviluppata viene visto come il luogo perfetto per l’inserimento delle nuove tecnologie dei biocarburanti avanzati da accostarsi a quelle convenzionali. Infine in India dopo COP21 si è aperto il dibattito sulla necessità di evitare di bruciare la paglia nei campi a scopo di fertilizzazione dei terreni, con conseguente emissione di gas serra, per utilizzare invece queste biomasse nella produzione di biocarburanti. Alcuni stati sono già entrati in contatto con il nostro gruppo per iniziare partnership mirate a costruire progetti di bioraffinerie basate su paglia di riso”.

Di Antonio Cianciullo