Biometano da scarti: già oggi si può arrivare a 6 miliardi di tonnellate. Gli ostacoli da superare

Dalle biomasse derivanti dagli scarti (agricoli, frazione umida dei rifiuti urbani, fanghi di depurazione) si potrebbero già oggi ricavare circa 6 miliardi di tonnellate di biometano. Una quantità pari a un decimo del consumo italiano di gas. E domani, quando le rinnovabili arriveranno alla metà della produzione di energia elettrica, si potrebbe fare un ulteriore salto ricavando altro metano da processi alimentati grazie ai picchi di produzione di sole e vento. Sono percorsi possibili, anzi probabili, a patto di superare alcune difficoltà tecniche. Le analizza Luigi Mazzocchi, direttore del Dipartimento Tecnologie di Generazione e Materiali di Rse.

BIOMASSE: NON SOLO PRODUZIONE ELETTRICA

“Per capire il percorso che abbiamo di fronte bisogna anzitutto inquadrarlo dal punto di vista temporale”, spiega Mazzocchi. “Fino all’anno scorso la produzione di biometano era simbolica, gli impianti attivi erano pochissimi. Con il decreto del marzo scorso, il quadro cambia in maniera radicale perché – seguendo le indicazioni europee – si passa da un’impostazione centrata sulla produzione elettrica a una che guarda alla produzione energetica complessiva. Un passaggio particolarmente importante per il nostro Paese che aveva già ottenuto risultati importanti nel campo della produzione elettrica da fonti rinnovabili, ma aveva – ed ha – molta strada da fare sul fronte energetico legato ai trasporti e consumi termici”.

In sostanza la prima generazione di impianti alimentati con scarti agricoli (di dimensioni ridotte, sotto il megawatt) è cresciuta grazie a incentivi mirati alla produzione elettrica. Ne è derivato un parco di quasi 2 mila impianti che utilizzano biogas (uso elettrico) e hanno un interesse limitato a passare al biometano (uso più flessibile) perché sono sostenuti dalle agevolazioni sulla produzione elettrica, agevolazioni che dureranno ancora alcuni anni.

CON IL BIOMETANO MAGGIORE EFFICIENZA NELLO SFRUTTARE LE BIOMASSE

“Nella prima metà del prossimo decennio è però ipotizzabile sia una riconversione di questi impianti sia la creazione di una nuova generazione di impianti, con vantaggi ambientali ed energetici evidenti”, continua Mazzocchi. “L’attuale sfruttamento della biomassa non è ottimale: nel caso di sola produzione elettrica l’efficienza di conversione può oscillare tra il 35 e il 40%. Alcuni degli impianti esistenti utilizzano anche il calore: mediamente ogni metro cubo di metano prodotto da materia biologica sostituisce tre quarti di metro cubo di metano di origine fossile. Ma se si passa al biometano il rapporto sale a 0,92”.

IL NODO DELLA DISTRIBUZIONE

Da un punto di vista tecnologico la produzione a costi ragionevoli, su larga scala, del biometano utilizzando scarti agricoli, zootecnici, rifiuti organici urbani e fanghi di depurazione non pone particolari problemi. “Ma qualche difficoltà nasce esaminando la questione dal punto di vista della rete di distribuzione”, osserva Mazzocchi.

“Prendiamo il caso di un impianto di biometano che si connette alla rete ad alta pressione, cioè in un punto in cui il flusso di metano è abbondante e continuo. In questo caso non c’è alcun problema né di quantità immessa, né di qualità, perché il biometano è normato in modo da sostituire perfettamente il metano di origine fossile. Ma se l’impianto di biometano è in un luogo periferico rispetto alla rete di trasporto (la rete di alta pressione che effettua il trasporto del gas a lunga distanza), il che può capitare con una certa frequenza se il materiale di base proviene dal ciclo agricolo, allora la questione si fa più complessa”.

“In questo caso – prosegue Mazzocchi – l’unica opzione percorribile può risultare l’immissione nella rete di distribuzione (quella che opera a pressione media e bassa consegnando il gas localmente ai singoli utenti) e i consumi locali, soprattutto d’estate, possono essere insufficienti per assorbire il biometano prodotto. La soluzione può venire dalla creazione di un flusso bidirezionale: il metano potrebbe viaggiare nei due sensi, anche dalla rete di distribuzione a quella di trasporto. Un po’ come succede con le rinnovabili elettriche, che possono essere utilizzate localmente o immesse nella rete nazionale”.

LE POTENZIALITÀ DEL POWER TO GAS

Infine c’è il capitolo del cosiddetto power to gas. Il tema non è di immediata attualità ma quando le fonti rinnovabili intermittenti andranno a coprire una parte rilevante del fabbisogno elettrico si potrebbero creare le premesse per un uso di questa tecnologia, che consente di trasformare, attraverso l’elettrolisi, l’elettricità derivante dai picchi di produzione di solare ed eolico in idrogeno. L’idrogeno insomma come forma di accumulo energetico.

Un altro processo interessante – continua Mazzocchi – è utilizzare l’anidride carbonica derivante da fumi di combustione o dalla produzione del biometano per ricavare altro metano: “A livello di laboratorio sono stati ottenuti risultati molto buoni miscelando CO2 e idrogeno in presenza di batteri: si ottiene metano attraverso un processo semplice, a bassa temperatura e a bassa pressione”.