Comunità energetiche: l’analisi RSE

Studio su 15 progetti pilota. Obiettivo: capire benefici economici e ambientali di comunità energetiche e schemi di autoconsumo

Le nuove direttive europee su rinnovabili (RED II) e mercato dell’energia (IEM) invitano gli Stati membri a regolamentare e normare nuove modalità di partecipazione dei cittadini al mercato dell’energia. Tra queste gli schemi di autoconsumo collettivo e le comunità energetiche.

SCHEMI DI AUTOCONSUMO COLLETTIVO E COMUNITÀ ENERGETICHE

Nel primo caso si tratta in genere di condomini che possono produrre, stoccare e vendere energia rinnovabile autoprodotta. Questo meccanismo si pone l’obiettivo di aumentare l’efficienza nella produzione e consumo di energia delle famiglie. E allo stesso tempo contrastare la povertà energetica, riducendo le tariffe di fornitura non solo per le persone che vivono in abitazioni unifamiliari, ma anche per chi vive in condominio.

Le comunità energetiche costituiscono invece una configurazione più complessa. Alla comunità, infatti, possono aderire anche imprese ed enti locali. Possono essere coinvolti anche installatori, ESCo, manutentori, finanziatori, senza che diventino necessariamente membri delle comunità. Le comunità energetiche operano nel mercato dell’energia senza avere una prevalente finalità di lucro. Sono finalizzate a soddisfare esigenze di tipo ambientale, economico e sociale.  E, solo in ultima istanza, di profitto.

COMUNITÀ ENERGETICHE: IL CONTESTO NORMATIVO E REGOLATORIO

La legge di conversione del Decreto Milleproroghe – la 8 del 28 febbraio 2020 – permette di attivare schemi di autoconsumo collettivo e comunità di energia rinnovabili. Di fatto, ci troviamo in una fase di rodaggio, in vista del completo recepimento delle direttive UE. La Legge 8/2020 consente quindi di avviare rapidamente alcune sperimentazioni, realizzando nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza di modesta entità ma fortemente integrati a livello urbanistico o territoriale.

Si è attivato così un processo che ha portato prima l’Arera a definire uno schema regolatorio transitorio per capire quali componenti tariffarie restituire a chi partecipa a questi schemi, in base alle modalità di utilizzo della rete. E in secondo luogo il MISE, a stabilire un incentivo per l’energia condivisa. Tale incentivo è di 100 €/MWh per l’autoconsumo collettivo e 110€/MWh per le comunità energetiche.

COMUNITÀ ENERGETICHE: IL PROGETTO DI RSE

Ora, il quadro normativo e regolatorio va calato nelle situazioni concrete, per capire se è il più adeguato a massimizzare i benefici che questi schemi di consumo portano al sistema. Per fare ciò RSE, in quanto partner del Mise per il recepimento delle direttive, ha avviato un’azione di promozione e valutazione di alcuni casi studio.  L’obiettivo è svolgere un’analisi costi-benefici non solo dal punto di vista energetico, ma considerando anche la dimensione economica, ambientale e sociale, sia per i soggetti coinvolti nei progetti pilota che per il sistema nel suo complesso.

Per gli schemi d’autoconsumo collettivo sono stati selezionati nove progetti pilota tra quei soggetti che hanno dato maggiori garanzie di buona riuscita della sperimentazione. E che hanno offerto la possibilità di diversificare la sperimentazione stessa in termini di tecnologia adottata, tipologia d’utenza e dimensione del progetto. Sei sono invece i progetti pilota che riguardano le comunità energetiche. Il lavoro di RSE sarà quello di analizzare diversi scenari, considerando differenti tecnologie e meccanismi di regolazione, in modo da individuare le combinazioni che consentano di trarre il massimo vantaggio dalla crescente integrazione tra produzione e consumo all’interno di queste realtà.

UNA SOLUZIONE PER COSTRUIRE INFRASTRUTTURE ENERGETICHE?

“Sarà interessante esaminare un modello – come quello delle comunità energetiche – che ribalta il percorso di definizione, dimensionamento, localizzazione e progettazione degli impianti”, spiega Daniele Novelli di RSE, in un commento raccolto per l’ultimo DossieRSE.  “In sostanza, iniziative che nascono da cittadini, piccole imprese e Comuni potrebbero contribuire a disinnescare, per altra via, l’impasse nella costruzione di infrastrutture energetiche sul territorio”.

“È crescente, infatti, la difficoltà di ottenere autorizzazioni per realizzare nuovi impianti a fonti rinnovabili, se pur necessari per raggiungere gli obiettivi al 2030 – prosegue Novelli – E, dunque, il capovolgimento della logica con cui, fino ad oggi, gli impianti sono stati realizzati sul territorio potrebbe contribuire ad individuare un modello per vincere la resistenza culturale che si è dimostrata, nei fatti, più forte di tutti gli interventi di semplificazione del procedimento di autorizzazione che, nel tempo, sono stati adottati”.