È il momento dell’agrivoltaico

Il Pnrr stanzia 1,1 miliardi con l’obiettivo di produrre 1.300 GWh all’anno. I progetti della Ricerca di Sistema per migliorare le performance e l’integrazione con la produzione agricola.

NUOVO APPROFONDIMENTO DI RES MAGAZINE

Per alcuni è un tema divisivo, per altri un “uovo di Colombo”. Per i più è un concetto nuovo che ancora si fa fatica a definire. Parliamo dell’agrivoltaico, ovvero l’integrazione tra generazione di energia con moduli fotovoltaici e agricoltura. Il Pnrr stanzia 1,1 miliardi per installare una capacità produttiva di 1,04 GW con questa soluzione. L’obiettivo è arrivare a produrre 1.300 GWh all’anno. Che tipo di vantaggi può avere l’agrivoltaico per l’agricoltura? E la ricerca come può contribuire a trovare soluzioni ottimali per coniugare produzione elettrica e produzione agricola? Ne parliamo nel nuovo approfondimento di RES Magazine con un panel di esperti Cnr, Enea e Rse.

Ma cosa si intende esattamente per agrivoltaico? “È la possibilità di coniugare le esigenze agricole e quelle energetiche – risponde Salvatore Guastella di RSE – la produzione di energia non deve avvenire a scapito di quella agricola”. Non basta posizionare moduli su capannoni e stalle. E non è agrivoltaico il semplice fotovoltaico standard, “a terra”, su suolo agricolo (produttivo o abbandonato che sia). Anche perché l’agrivoltaico nasce proprio per minimizzare il consumo di suolo e al tempo stesso dare un supporto alla produzione agricola. “Da un lato può costituire un sostegno alle attività agricole – aggiunge il ricercatore RSE – è un modo per abbassare i costi dell’energia e diversificare le fonti di reddito. Dall’altro, può essere utile per aumentare le installazioni di fotovoltaico sul territorio nazionale, nell’ottica di decarbonizzare il sistema energetico”.

AGRIVOLTAICO: SINERGIA TRA PRODUZIONE ELETTRICA E AGRICOLA

“Ci deve essere quindi una sinergia. Che può avvenire a gradi diversi di integrazione”, aggiunge Ezio Terzini dell’Enea. Si va dalla realizzazione di impianti con moduli a differenti altezze, anche fino a 4 metri in modo da rendere possibile l’allevamento di animali o il passaggio di macchinari agricoli, fino alle “staccionate fotovoltaiche” con moduli posizionati verticalmente. I moduli possono essere fissi o motorizzati in modo da ‘inseguire’ il sole. I vantaggi possono essere molteplici. “La realizzazione di coperture agrivoltaiche può certamente abbattere l’utilizzo delle plastiche utilizzate nelle attuali coperture agricole. In altre colture, i moduli possono costituire una protezione contro eventi meteorologici estremi. Il microclima che si crea sotto gli impianti può essere di beneficio per il suolo. Gli stessi impianti possono essere utilizzati per raccogliere e convogliare le acque piovane e ottimizzare l’irrigazione”.

La ricerca è impegnata inoltre nell’analisi spettrale per capire la tipologia di radiazione solare più adatta in base al tipo di coltura. Detto in parole semplici, la luce più adatta. “Il tipo di radiazione può essere più o meno utile – spiega Massimo Mazzer del CNR – In alcune applicazioni in serra vengono utilizzate coperture altamente riflettenti e illuminazioni artificiali a led. I nuovi moduli fotovoltaici possono essere semitrasparenti in modo da far passare solo una parte specifica di radiazione”.

LE SFIDE PER LA RICERCA

Siamo comunque agli albori di questo tipo di installazioni, per il momento in Italia sono attivi impianti dimostrativi di piccola e media taglia. E c’è molto da fare sul versante della ricerca. “Bisogna capire qual è la variazione della producibilità agricola in presenza di agrivoltaico – spiega Terzini – La soluzione ideale in Sicilia, magari non lo è in Veneto. C’è una gamma di colture adatte ad applicazioni al Sud e non al Nord. È importante analizzare i differenti scenari tecnologici in parallelo al monitoraggio delle colture. In questo modo possiamo scegliere il giusto trade off tra produzione elettrica e produzione agricola. Se monitoriamo i parametri di crescita delle piante possiamo decidere, in determinati periodi e con impianti ad inseguimento, di orientare i moduli in modo da favorire l’irraggiamento della luce sulle coltivazioni”.

“Nel triennio 2022-2024 della Ricerca di Sistema, i nostri enti collaboreranno per acquisire nuovi dati su come le coltivazioni vengono agevolate o danneggiate in impianti agrivoltaici. Studieremo, fra l’altro, delle installazioni con strutture innovative e con moduli semitrasparenti in diverse zone della penisola” annuncia Salvatore Guastella di RSE.

I PROGETTI DELLA RICERCA DI SISTEMA

Tutti e tre gli enti di ricerca hanno in cantiere progetti di studio e analisi dell’agrivoltaico. RSE per la sua sede di Piacenza sta realizzando un impianto da 260 kW dove porterà avanti studi comparativi tra aree destinate a usi diversi (agricoltura, fotovoltaico e agrivoltaico) in collaborazione con l’Università Cattolica di Piacenza. Il CNR a Parma sta lavorando al progetto di una comunità energetica nel campus universitario dove testare applicazioni agrivoltaiche, anche in linea con la vocazione agrifood dell’ateneo. L’Enea sta sperimentando dei moduli per le serre dell’orto botanico della facoltà di agraria a Portici. Moduli innovativi, dotati di un sistema di automazione che consente di cambiarne la trasparenza e quindi di lasciare passare fino al 70% della radiazione solare.

L’agrivoltaico rientra nel più ampio potenziale del fotovoltaico in Italia, un potenziale enorme. Sappiamo però che questo potenziale è frenato anche dall’opposizione di chi accusa il fotovoltaico di consumare suolo e impattare sul paesaggio. Il che può essere vero in determinate e circoscritte situazioni speculative. Partendo però dal presupposto che le vere minacce al suolo sono altre. Per capire quale impatto possa avere sullo sfruttamento del territorio, possiamo supporre di voler paradossalmente ottenere tutta l’energia di cui abbiamo bisogno dal fotovoltaico. Parliamo di 320 TWh/anno producibili – con la resa attuale che è di circa il 22%, il 50% più alta di quella del 2012 – avendo a disposizione circa 3.000 km quadri di superficie (un’estensione che comprende lo spazio fra una fila e l’altra di moduli, da lasciare libero per evitare effetti di ombreggiamento). È l’equivalente di un terzo del suolo occupato dalle strade, o l’equivalente del suolo occupato da piazzali, parcheggi, cortili. Se volessimo usare soltanto le coperture degli edifici esistenti, avremmo bisogno di un’estensione ancora minore: 1.200 km di tetti e coperture. In pratica il 20% del terreno occupato da tutti gli edifici. “Insomma il problema potrebbe diminuire utilizzando il costruito, ma in ogni caso parliamo di un’estensione ridotta. Quello di cui abbiamo bisogno è un catasto solare per individuare le aree più idonee e poter fare programmazione”, indica Mazzer.

IL FOTOVOLTAICO E LA SFIDA DELLA DIFFERENZIAZIONE

La strategia per utilizzare il fotovoltaico in maniera coerente con l’obiettivo della decarbonizzazione deve contemplare differenti soluzioni. Tra queste rientra sicuramente l’agrivoltaico. “Ogni settore produttivo deve dare il suo contributo alla decarbonizzazione, anche l’agricoltura. L’agrivoltaico ci può consentire di creare percorsi condivisi con le comunità, lavorando sulla sua accettabilità sociale”, commenta Terzini. La ricerca può migliorare questa accettabilità sociale, sperimentando le soluzioni che possano meglio coniugare produzione elettrica e produzione agricola. “È vero che il fotovoltaico è una tecnologia matura – conclude Mazzer – ma il suo ancora possibile miglioramento richiede molti investimenti in ricerca e innovazione. Fino ad oggi si è lavorato all’ottimizzazione di un prodotto unico. Oggi la sfida è differenziare l’offerta per applicazioni diverse, molte delle quali richiedono, come nel caso del settore edilizio, soluzioni su misura, in base al progetto, e non grandi volumi di produzione”.

Photo by National Renewable Energy Lab on Flickr