Energia marina: una corsa cominciata nel 1799

Il primo brevetto per sfruttare il moto ondoso fu depositato nel 1799 in Francia da due Girard, padre e figlio, sicuri di fare fortuna con il dispositivo da loro creato. Da allora migliaia di inventori hanno ritenuto di aver scoperto il segreto per sfruttare la formidabile energia contenuta negli oceani. Ma fino ad oggi la produzione di elettricità dal mare è stata estremamente ridotta. La ragione di questa lunga rincorsa, che al momento ha dato risultati modesti, è che tra la potenzialità (la potenza stimata è cinque volte superiore al totale dei consumi mondiali) e l’atto (una produzione ancora simbolica) ci sono notevoli difficoltà tecniche da risolvere. E ogni tipologia di sfruttamento dell’ energia marina (onde, correnti, maree, differenze di temperatura e di salinità) ha le sue.

Ad esempio lo sfruttamento delle maree (a cui viene attribuito un potenziale pari ad almeno 360 GW) richiede l’individuazione di aree dove questo movimento è sufficientemente ampio e dove le strutture della centrale siano compatibili con la navigazione. A oggi, esistono solo 5 impianti in funzione: quello di Saint Malo, in Francia, da 240 MW, che è stato per molti anni il più grande; uno in Canada; uno in Russia; uno in Corea del Sud, che ha battuto il record di Saint Malo; uno in Cina.

Inoltre per tutte le tecnologie occorre progettare macchine in grado di resistere all’effetto corrosivo dell’acqua di mare e a condizioni atmosferiche che possono diventare estreme.

Ma lo sviluppo dell’eolico ha portato all’abbattimento dei costi delle pale, con un riflesso diretto di abbassamento dei prezzi delle turbine marine che rappresentano un adattamento di quella tecnologia. E le nanotecnologie hanno dato la possibilità di coprire con una pellicola sottilissima e non inquinante di silicati idrofobici tutte le parti metalliche delle strutture sottomarine in modo da evitare la formazione della vegetazione marina che danneggia gli impianti.

Per questo nell’ultimo decennio i tentativi di realizzare impianti produttivi si sono intensificati. Ecco alcuni dei principali. Nel 2007 sulle coste settentrionali del Portogallo una società scozzese con capitali italiani, la Ocean Power Delivery (Opd), ha puntato su macchine a forma di serpentone, i Pelamis P-750, per intrappolare l’energia del mare e trasformarla in elettricità. La struttura è ancorata al fondo del mare in modo da catturare la corrente e utilizzarla per mettere in funzione i generatori. L’esperimento è stato ripetuto sulle coste scozzesi.

Nel 2012 è stato il turno delle isole Orcadi, nel Mare del Nord, dove è stato inaugurato il primo “parco eolico sottomarino”, con pale simile a quelle degli impianti eolici ma immerse a 30 metri di profondità.

L’anno dopo, in Francia, il ministro dell’ecologia (Delphine Bato) ha dichiarato che sulla Manica, dove passa una delle correnti più forti del continente, la Francia costruirà i suoi impianti “idroeolici”.

Sempre nel 2013, a Punta Righini, nel mare toscano, davanti a Castiglioncello, è stato inaugurato un impianto che sfrutta le onde: una parte del dispositivo galleggia sotto il pelo dell’acqua, un’altra è ancorata al fondale. Le due parti sono collegate da braccia che trasmettono l’energia ai pistoni per trasformare la forza motrice delle onde in elettricità. La macchina è stata ideata da Michele Grassi – laurea in matematica alla Normale di Pisa, fondatore della 40South Energy – e costruita grazie a un accordo con Enel Green Power.