Fotovoltaico flottante: dai bacini interni, un’opportunità per l’Italia

Di Francia, Enea: ““È ragionevole stimare un potenziale 3-4 GW” di nuova capacità installata”

FOTOVOLTAICO OFFSHORE: UNA SFIDA INGEGNERISTICA

Se l’eolico offshore è una realtà ormai consolidata, il fotovoltaico fuori costa è ancora una limitata sperimentazione. Le condizioni ambientali avverse non depongono a favore, se non come estrema ratio in contesti dove la terra scarseggia. Tuttavia, l’idea del fotovoltaico flottante ha i suoi vantaggi. Il nostro Paese potrebbe beneficiarne, sfruttando i bacini interni. Ne parliamo con Girolamo Di Francia, dirigente di ricerca presso il Centro ricerche Enea di Portici. Con il suo team, Di Francia censisce le aree più idonee e studia le soluzioni tecniche più promettenti. Dal punto di vista ingegneristico e dei materiali.

“Le sollecitazioni meccaniche alle quali è sottoposto un impianto fotovoltaico offshore, la cui estensione può raggiungere qualche ettaro, sono fortissime – spiega – Molto più forti rispetto a quelle alle quali è sottoposta una turbina eolica. Di fatto le installazioni in mare sono piuttosto rare e non abbiamo dati a medio-lungo termine per valutare la durata di vita degli impianti”. Uno dei più grandi parchi solari galleggianti è stato recentemente completato nello Stretto di Johor. Una striscia d’acqua poco profonda che separa la Malesia da Singapore. Si tratta di un impianto da cinque megawatt per fornire energia alla città stato, fortemente urbanizzata e senza sufficienti estensioni di territorio da dedicare al fotovoltaico.

FOTOVOLTAICO FLOTTANTE: LE POTENZIALITÀ DEI BACINI INTERNI

Altra storia sono invece i bacini interni. Hanno caratteristiche molto più idonee: fondali poco profondi, assenza di fenomeni estremi, un’infrastruttura di rete in molti casi già presente. Più in generale, nei bacini interni le condizioni sono più controllabili e quindi l’installazione e la manutenzione sono più semplici. Da questo punto di vista, l’Italia avrebbe un potenziale molto elevato. Nel nostro Paese sono censiti circa 200.000 ettari di specchi d’acqua. “Considerando anche solo il 10% di questa estensione, potremmo arrivare a 15 gigawatt di fotovoltaico flottante”, si sbilancia Di Francia. Che poi specifica: “È una stima ottimistica. Sicuramente, un istallato di 3 – 4 gigawatt da impianti flottanti lo vedrei come ragionevole e auspicabile, soprattutto pensando all’energia che consumiamo per i sistemi di irrigazione”.

In Italia, infatti, consumiamo molta energia per irrigare i campi. Parliamo all’incirca di 6 – 7 terawattora all’anno. “Molti piccoli bacini servono per l’irrigazione di aree agricole – prosegue Di Francia – Nelle vicinanze hanno impianti di pompaggio molto energivori. Parliamo di centinaia kilowatt se non di megawatt. Sono bacini non particolarmente profondi, di conseguenza i costi di installazione, ancoraggio e manutenzione sarebbero ridotti”. Rimane il problema dei materiali più idonei per resistere un tempo congruo a ripagare l’investimento, dell’ordine di 20/30 anni. Sulla carta, però, Il vantaggio sarebbe duplice: “Si avrebbe uno scambio sul posto di energia e al tempo stesso una riduzione dei consumi idrici”.

I BENEFICI: MIGLIORE RESA E MINOR CONSUMO DI ACQUA

Sì, perché uno dei benefici più importanti del fotovoltaico flottante sui bacini interni è la riduzione dell’evaporazione delle acque. “È come se mettessimo una sorta di coperchio al bacino – spiega il ricercatore Enea – È stato calcolato che, in determinate condizioni, questa riduzione dell’evaporazione può arrivare all’80%. Un risparmio di acqua che in certi casi è più interessante della produzione effettiva di energia”.

Anche per ciò che concerne la resa, tuttavia, il fotovoltaico flottante può giocarsela. “Il silicio ha una sua proprietà intrinseca: la corrente prodotta dalle celle tende a diminuire all’aumento della temperatura ambiente”. In altre parole, maggiore è la temperatura ambiente, minore è l’efficienza di conversione. “Normalmente i pannelli vengono testati intorno ai 25 gradi. Nelle condizioni operative, ad esempio al Sud, i pannelli si trovano facilmente ad operare intorno ai 35 – 40 gradi. Raffreddare il pannello è una delle tecniche alle quali si pensa per migliorare la resa. Il fotovoltaico flottante risolve questo problema con una sorta di sistema di raffreddamento naturale. L’efficienza può aumentare anche del 10%. Ancora di più se vengono impiegate celle bifacciali”.

Foto di Dennis Schroeder / NREL, Licenza Creative Commons CC BY-NC-ND 2.0