Fotovoltaico integrato: fondamentale per obiettivi al 2030

Basta intervenire solo sul 2,5% del costruito. Le innovazioni nei materiali per il fotovoltaico integrato e per i parchi.

PIANO ENERGIA E CLIMA: PER IL FOTOVOLTAICO OBIETTIVI AMBIZIOSI

Sono ambiziosi gli obiettivi al 2030 per le rinnovabili elettriche fissati nel Piano nazionale energia e clima. In particolare, circa il 25% della domanda totale di energia elettrica dovrà essere coperto dal solare. Questo significa passare dai 24 TWh/anno a circa 75 TWh/anno. “Cinquanta TWh/anno in più corrispondono a 30GWh di nuova potenza installata”, ci spiega Massimo Mazzer del Cnr. “Bisogna triplicare la nostra capacità di produzione di energia da fotovoltaico, in un contesto in cui il mercato interno sta procedendo lentamente, soprattutto a causa della tipologia degli incentivi attuali”.

In questo quadro diventa fondamentale il ruolo della ricerca per migliorare le prestazioni delle tecnologie esistenti o per progettarne di nuove. Mazzer è tra le personalità più indicate per spiegarci in quale direzione sta andando la ricerca: è lui infatti il referente italiano nell’Implementation Working Group sul fotovoltaico del SET Plan, il piano europeo per lo sviluppo di tecnologie strategiche per la transizione verso un sistema energetico a basse emissioni.

Un ruolo crescente e predominante giocherà quello che viene definito building-integrated photovoltaics (BIPV), il fotovoltaico integrato, ovvero i pannelli integrati nell’ambiente costruito, prevalentemente edifici. “Stando alle previsioni dell’associazione europea delle imprese operanti nel settore, nel 2030 i due segmenti – ovvero i parchi tradizionali e il fotovoltaico integrato – tenderanno a diventare equivalenti in termini di capacità installata”, spiega Mazzer.

IL RUOLO CRESCENTE DEL FOTOVOLTAICO INTEGRATO

L’integrazione architettonica richiede due caratteristiche principali: leggerezza e flessibilità. “Il silicio non è l’ideale per queste applicazioni perché non è un buon assorbitore di luce. Per assorbire tutta la radiazione solare, il silicio ha bisogno di uno spessore di almeno 100 micron”. Parliamo di un decimo di millimetro. Una misura che ci sembra piccolissima ma che va confrontata con le caratteristiche dei concorrenti. “I materiali a film sottile hanno un coefficiente di assorbimento della luce due o tre ordini di grandezza migliore. La stessa quantità luce assorbita in 100 micron di silicio può essere assorbita in un film dello spessore di un micron se usiamo le perovskiti o il CIGS”. Quest’ultimo è un composto a base di rame, indio, gallio, zolfo e selenio.

Entrambe queste soluzioni comportano però controindicazioni, che sono peraltro le stesse che frenano per il momento la loro diffusione anche nel fotovoltaico cosiddetto utility scale, ovvero i pannelli per i parchi. Le perovskiti, pur avendo ottime performance in termini di efficienza, non garantiscono ancora stabilità e durata. Mentre per il CIGS la ricerca punta sull’ottimizzazione del processo di deposizione del film: “Per abbassare i costi di produzione, bisogna sviluppare tecniche di deposizione ottimizzate anche a temperature più basse. Ci sono già sperimentazioni promettenti dove si è riusciti a scendere da 600 gradi a 200 gradi. Questa sarebbe una soluzione interessante che consentirebbe di utilizzare substrati termolabili, come le plastiche, e processi di produzione che non richiedono investimenti in macchinari estremamente costosi”.

UNA SOLUZIONE CONTRO IL CONSUMO DI SUOLO

Il fotovoltaico integrato sarebbe fondamentale per un Paese come il nostro che combatte la piaga del crescente consumo di suolo. Consumo di suolo imputabile in buona parte agli edifici che, stando ai dati Ispra, coprono cumulativamente un’area grande quanto la regione Friuli Venezia Giulia. “Per fare un confronto”, aggiunge Mazzer, “i campi fotovoltaici in Italia coprono un’area di solo 115 km quadrati, paragonabile a quello di un comune medio come Aviano”.

Le potenzialità sono enormi e l’obiettivo 2030 potrebbe, in linea di principio, essere raggiunto senza consumare altro suolo: “Partendo dal dato del consumo di suolo degli edifici e andando a vedere in dettaglio la tipologia di edifici, abbiamo capito che se volessimo raggiungere l’obiettivo del PNIEC in termini di aumento di installazioni di fotovoltaico esclusivamente sugli edifici, basterebbe intervenire solo sul 2,5% dell’area già edificata. E questa è una stima estremamente conservativa”, calcola Mazzer.

I NUOVI MATERIALI A FILM SOTTILE

Chiaramente, la ricerca non abbandona il fotovoltaico “mainstream” per i grandi parchi fotovoltaici: “Per migliorare l’efficienza del silicio, che al massimo potrà raggiungere il 29% circa, bisogna aggiungere un nuovo componente all’attuale cella solare commerciale. In particolare possiamo posizionare il materiale a film sottili al di sopra della cella di silicio in modo da ottenere due celle solari in serie fortemente integrate. Ciascun materiale intercetta in maniera più efficiente una parte specifica dello spettro della radiazione solare, con il voltaggio che si somma come succede nel caso di due batterie in serie. L’obiettivo è superare il 30% di efficienza, una quota a cui il silicio non può arrivare”. Anche in questo caso i materiali più promettenti sono perovskiti e CIGS. Ugualmente, rimangono gli ostacoli di durata e i costi produttivi.

LE CELLE BIFACCIALI DI ENEL GREEN POWER

C’è poi tutta l’innovazione made in Italy, portata avanti da Enel Green Power che si sta dimostrando tra le poche realtà europee a fare ricerca industriale sul fotovoltaico: “Nel sito di produzione di Catania è stata raggiunta, in produzione, una efficienza superiore al 22% puntando su celle innovative bifacciali. Dunque entrambi i lati del modulo assorbono la radiazione solare. Utilizzando semplicemente il riflesso dal terreno si riesce a produrre fino al 20-25% in più di energia”.

MAZZER, CNR: BISOGNA RAZIONALIZZARE GLI SFORZI DI RICERCA

Per puntare a obiettivi ambiziosi, però, “serve uno sforzo in più di razionalizzazione e coordinamento della ricerca. È necessaria una strategia unitaria. E mi sembra che il Miur e il Mise si stiano muovendo in questa direzione, verso un maggiore accentramento delle competenze. Come rete nazionale Ricerca & Innovazione, vorremmo proporre la costituzione di facilities nazionali che servano a far interagire maggiormente imprese e centri di ricerca potenziando gli investimenti nella parte critica della scala del “technology readiness level”, quella che va dalla dimostrazione di una nuova tecnologia su scala di laboratorio alla realizzazione di un prototipo. In altre parole servono dei veri e propri centri di prototipazione industriale. Strutture che in altri Paesi hanno funzionato e hanno fatto la differenza”.