Fotovoltaico: migliore efficienza con le celle multigiunzione

RSE al lavoro sulle celle multigiunzione. Obiettivo: efficienza al 50%

Il punto critico è lo spazio a disposizione. È questo uno degli elementi che frena la crescita del fotovoltaico. In teoria lo spazio dovrebbe essere abbondante perché ci sono i tetti di case capannoni, aree degradate e possibilità di conciliare pannelli e campi (agrivoltaico). Di fatto però gli ostacoli sono molti: difficoltà a ipotecare per 20 anni l’uso di capannoni, lotta contro il consumo di suolo, considerazioni paesaggistiche. Dunque l’ideale è da una parte aumentare la resa dei pannelli per ottenere più energia nello stesso spazio e dall’altra rendere le celle fotovoltaiche il più possibile adattabili, flessibili, capaci di integrarsi anche in edifici di pregio.

Sono questi gli obiettivi che RSE persegue utilizzando le possibilità offerte da Mission Innovation per la ricerca sui materiali. Lo spiega Giovanni Abagnale, ricercatore RSE impegnato negli studi in un campo di ricerca poco noto, il fotovoltaico a multigiunzioni: un termine che già richiede una spiegazione iniziale. Il cuore della cella fotovoltaica è formato dalla giunzione P-N o N-P. In sostanza – nel tipo più classico – c’è un cristallo di silicio in cui sono stati inseriti elementi “estranei” alla struttura cristallina (tecnicamente si dice che il materiale viene “drogato”): in questo modo si ottiene una zona con prevalenza di elettroni e l’altra con assenza di elettroni. Quando la giunzione viene colpita dalla luce del sole, si crea energia sufficiente per creare una differenza di potenziale e produrre uno spostamento di carica al suo interno. Si produce elettricità.

“Noi però non facciamo fotovoltaico tradizionale, che è basato su una sola giunzione: ci occupiamo della ricerca su quello a 3 giunzioni e stiamo andando verso l’obiettivo delle 4 giunzioni”, precisa Abagnale. “E il motivo è semplice. Ogni giunzione riesce ad assorbire solo una porzione delle lunghezze d’onda disponibili nello spettro solare. Unendo più giunzioni si possono catturare più lunghezze d’onda e in questo modo aumenta l’efficienza del sistema”.

Ma le differenze tra il fotovoltaico tradizionale e le celle multigiunzione non finiscono qui. “Un’altra differenza importante è che si usa il germanio al posto del silicio come materiale di base e composti dell’arsenico e del fosforo per ottenere i materiali da utilizzare nelle celle fotovoltaiche”, continua il ricercatore RSE. “E poi curiamo una serie di elementi che servono ad aumentare le prestazioni della cella fotovoltaica”. Questi elementi sono essenzialmente due. Il primo è dato da inseguitori biassiali (cioè molto sofisticati e in grado di seguire il sole in tutti i momenti del giorno), il secondo è un sistema di lenti e di ottiche che può concentrare fino a mille volte la quantità di luce che arriva sulla superficie terrestre.

CELLE MULTIGIUNZIONE: L’EFFICIENZA ARRIVA AL 50%

Riepilogando: siamo di fronte a un sistema molto più complesso del fotovoltaico base. Si tratta di misurarne vantaggi e svantaggi – oggi e in prospettiva – per capire quanto conviene investire. “Cominciamo dall’efficienza nel processo di conversione della luce in elettricità”, prosegue Abagnale. “L’efficienza di una cella convenzionale arriva a un massimo teorico del 28%, che con il declino dei primi anni di uso tende a scendere verso il 20%. Le celle multigiunzione arrivano oggi al 36-40%, percentuale che naturalmente è destinata a subire un analogo calo con il passare del tempo. Noi puntiamo a raggiungere il 50% che è il traguardo per questa tecnologia. Per arrivarci dobbiamo superare due ordini diversi di difficoltà: quelle tecnologiche, per migliorare la resa, e quelle economiche, per superare il gap attuale che vede i dispositivi a multigiunzione costare circa 3 volte più di quelli convenzionali”.

Per far scendere i costi, la strada intrapresa dalla sperimentazione a cui si lavora con Mission Innovation è l’integrazione tra le due tecnologie (quella classica e quella multigiunzione): più giunzioni ma puntando sul silicio, invece del più costoso del germanio. “È un punto centrale della piattaforma digitale IEMAP”, aggiunge Abagnale. “Si tratta di un progetto complesso che utilizza un database nazionale in cui vengono inseriti i materiali che possono essere utilizzati per l’accumulo, per l’elettrolizzazione e per il fotovoltaico. Utilizziamo i super computer del CRESCO (Computational RESsearch Centre on COmplex systems) di ENEA per mettere a punto gli algoritmi necessari a studiare gli accoppiamenti dei materiali innovativi da utilizzare all’interno della cella fotovoltaica: in questo modo riduciamo il numero degli esperimenti necessari e quindi accorciamo i tempi e tagliamo le spese”.

L’obiettivo di RSE è sviluppare una tecnologia in cui si lavora sul silicio utilizzando materiali a base fosforo. In futuro i nuovi dispositivi potranno essere applicati per esempio a una finestra: lasceranno passare la luce solare come se fossero vetro, intercettandola per i dispositivi fotovoltaici collocati sul bordo della finestra. In questo modo la finestra manterrà intatte le sue funzioni, ma al tempo stesso diventerà una sorgente di energia rinnovabile. Si può pensare a grattacieli in cui le vetrate non sono più punti di dispersione del calore e dunque di spreco energetico, ma fonte di elettricità green.

“La tecnologia delle celle tandem che utilizzano il silicio come substrato di partenza per celle solari a base di composti dell’arsenico e fosforo è ai blocchi di partenza”, conclude Abagnale. “Stiamo lavorando soprattutto sull’integrazione di questi materiali che al momento vengono uniti al silicio con collanti conduttivi o materiali trasparenti. Quando riusciremo a superare queste difficoltà, si potranno usare le nuove celle nei moduli solari “convenzionali” ottenendo un salto notevole di efficienza con costi che diventeranno confrontabili a quelli attuali”.
Già quando? Il progetto triennale di Mission Innovation scade nel 2023. Se tutto andrà bene, entro la fine di questo decennio il nuovo fotovoltaico sarà sul mercato.