I sistemi di accumulo e la rete elettrica italiana

In Italia la diffusione massiva di impianti da fonte rinnovabile intermittente (eolico e fotovoltaico) impone di considerare l’approccio all’energy storage. La rete elettrica nazionale ha infatti bisogno di sistemi di accumulo per non disperdere l’energia generata dalle FER, che stanno modificando rapidamente il sistema elettrico italiano. Oltre 10.000 MW sono ad oggi collegati alle linee di distribuzione (e non alla Rete di Trasmissione Nazionale gestita da Terna) e questo può causare disservizi anche gravi (blackout compresi) – (Energia24, 2011). Inoltre per venire incontro alle cosiddette Smart grid, le reti intelligenti su cui investono molti stakeholder dell’industria dell’energia, è indispensabile che parallelamente alla generazione distribuita si diffondano sistemi di accumulo altrettanto distribuiti. Rispetto al piano di sviluppo di Terna ci sono infatti squilibri nel sistema di trasmissione e distribuzione elettrico, laddove le regioni del Sud Italia e delle isole hanno un surplus di produzione, per via di una minore densità di utenze industriali energivore e una maggiore presenza di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, mentre le regioni del Centro e Nord Italia sono nella condizione opposta di deficit di produzione, perché consumano più energia di quanta sono in grado di produrne. Il bilanciamento del sistema può quindi avvenire facendo transitare energia dalle zone in cui ce n’è in eccesso alle zone in cui manca (Energy & Strategy Group, 2012). La rete di trasmissione e distribuzione però è stata realizzata senza considerare lo scenario della distribuzione dell’energia e quindi presenta numerosi punti di congestione. Tale situazione implica il sostenimento di costi extra (la sola mancata produzione eolica del 2010 è quantificabile in 40 milioni di euro), che pesano sulle bollette dei consumatori, sebbene Terna si stia adoperando per un ammodernamento della rete con un investimento nel quinquennio 2009-2013 di circa 3,4 miliardi di euro (Terna, 2012). Tra le tecnologie di accumulo oggi disponibili Terna ha preso in considerazione:

  • impianti di pompaggio;
  • dispositivi di accumulo diffuso a batterie.

Gli impianti di pompaggio (accumulo zonale) e le batterie (accumulo diffuso) presentano caratteristiche intrinseche che le rendono abbastanza complementari per campo di applicazione e distribuzione territoriale. In un primo momento, una soluzione per risolvere le problematiche evidenziate è stata identificata in un mix delle due tecnologie, opportunamente dislocate sul territorio e per livello di tensione secondo le specifiche esigenze del Sistema Elettrico.

Secondo studi scientifici di settore, a determinate applicazioni da fonte rinnovabile corrispondono solo determinate soluzioni tecnologiche di accumulo. In generale le principali tecnologie di accumulo possono essere classificate nelle categorie rappresentate in Figura 1.

Le possibili applicazioni dei sistemi di accumulo sono molteplici e spesso non facilmente e univocamente identificabili, in quanto una stessa funzione svolta da un sistema di accumulo può essere vista e catalogata sotto differenti aspetti, relativi ai servizi, vantaggi, benefici apportati al sistema di accumulo.

L’applicabilità di una tecnologia alle categorie Power ed Energy Management è funzione del tempo di scarica e della capacità (Figura 4).

Per corrispondere alla natura distribuita delle rinnovabili, i capacitori, i volani, i superconduttori magnetici e molte batterie (eccetto le batterie al piombo-acido) sono adatte perché scalabili, modulari, durevoli e perché richiedono bassa manutenzione – inoltre i sistemi ad aria compressa, i volani, i capacitori, i superconduttori magnetici, le batterie al solfuro di sodio e le batterie redox al vanadio, hanno un certo potenziale per continuare a crescere senza dover sopperire alla carenza di alimentazione alla rete, che può determinare la promozione (o la fine) – a lungo termine – di determinati sistemi. Al contrario, le batterie allo zinco-bromo e le batterie al piombo-acido si troveranno necessariamente a dover sopperire ai limiti di alimentazione degli attuali tassi di produzione (Beaudin, Zareipour, Schellenberglabe, & Rosehart, 2010). Nello specifico nazionale, ai prezzi italiani dell’energia sarebbe sbagliato non attivare un ciclo di investimenti in impianti di storage. Per le esigenze della rete italiana, la tecnologia più adatta sembrerebbe il CAES, che rappresenta il giusto mezzo tra pompaggio idraulico e batterie. Il pompaggio idraulico, infatti, ha evidenti criticità di siting orografico e ambientale (come anche di operation: vuotare e riempire un bacino su base giornaliera è un’attività poco agevole), mentre il CAES di superficie può effettuare lo stesso servizio, quasi agli stessi costi e senza neppure dipendere da brevetti giapponesi (come per le batterie al NaS prodotte su larga scala e per grandi taglie da una sola impresa al mondo, la giapponese NGK, con caratteristiche tecniche ed economiche di un’adeguatezza da dimostrare rispetto al servizio necessario alla rete elettrica italiana). Il caso-Italia è un segnale molto chiaro di come sia vicina la massiccia diffusione dei sistemi di storage nei mercati elettrici maturi e con presenza importante di impianti eolici e fotovoltaici (superiore al 20-30%) – (Santi, 2012). In conclusione, l’energy storage è una filiera tecnologica importante, sia per la diffusione delle fonti rinnovabili sia per la democratizzazione dell’energia (generazione distribuita, smart grid, …). Il mercato potenziale è enorme. I servizi di energy storage necessari al solo funzionamento del settore elettrico planetario sono stimabili al 2030 in circa 450 GW, di cui 100 GW esistenti e 350 GW cumulativamente da realizzare entro i prossimi 20 anni. Gli investimenti richiesti per realizzare tale numero di impianti di accumulo dell’energia elettrica sfiorano i 300 miliardi di euro complessivi, mediamente circa 1.000 €/kW. Dalla situazione attuale in cui l’utilizzo dei pompaggi idraulici è predominante, con una capacità installata circa 100 volte superiore al CAES e almeno 10.000 volte superiore alle batterie e agli altri sistemi di accumulo, si passerà, entro un paio di decenni, a una situazione di parità tra pompaggio idraulico, CAES e batterie, in termini di potenza installata. Rispetto ai CCGT, il costo dei servizi di bilanciamento effettuato con impianti di storage consente di risparmiare dal 10 al 30%. Inoltre i CCGT si trovano soprattutto nel Centro-Nord, mentre gli impianti a fonti rinnovabili intermittenti si trovano soprattutto al Sud e nelle Isole. Gli impianti di storage invece si possono installare dove serve, cioè in generale vicino agli impianti a fonti rinnovabili intermittenti, con grande sgravio per la rete. Infine c’è da considerare che in Italia, quando la rete non può assorbire la produzione di impianti a fonti rinnovabili a causa di limiti tecnici, tali impianti vengono comunque indennizzati per la mancata produzione, a spese del sistema elettrico. Quindi, tra costi di combustibile evitati, emissioni di CO2 evitate, ottimizzazione della rete di trasmissione e distribuzione, riduzione delle perdite di rete, razionalizzazione dei profili di produzione degli impianti termoelettrici, riduzione degli indennizzi agli impianti a fonti rinnovabili per mancata produzione causata dai limiti di rete, il risparmio nell’utilizzo di sistemi di storage invece dei cicli combinati sarebbe ben maggiore del 10-30% di differenza nei costi marginali (Santi, 2012).

Bibliografia

Beaudin, M., Zareipour, H., Schellenberglabe, A., & Rosehart, W. (2010). Energy storage for mitigating the variability of renewable electricity sources: An updated review. Energy for Sustainable Development , p. 302-314. Capgemini Consulting. (2011). Elaborazioni Capgemini. Roma, Italia. Energia24. (2011). La rete elettrica ha bisogno urgente di sistemi d’accumulo. Energia24 – IlSole24Ore . Energy & Strategy Group. (2012). Solar Energy Report. Milano: Politecnico di Milano. Santi, F. (2012). E pompa e non pompa arriveremo a Roma. Nuova Energia , p. 22-27. Terna. (2012). Piano di Sviluppo 2012. Roma: Terna.

Di Andrea Serafini

Andrea Serafini è ingegnere elettronico, dopo la laurea, ha conseguito un Master in Ingegneria dell’Impresa e un Ph.D. in ingegneria economico-gestionale (sulle criticità della conversione fotovoltaica), entrambi all’Università di Roma Tor Vergata. Lavora da 8 anni nel mondo della consulenza, da 2 in Capgemini Consulting, nella Unit di Utilities Transformation.