Idrogeno ed energia dal mare: due delle strade da percorrere per affrontare la transizione energetica verde, insieme alle tecnologie per l’accumulo. La fusione come obiettivo di lungo periodo, la sostenibilità ambientale come metodo di lavoro nella gestione dei progetti industriali.

L’Ingegner Emilio Fortunato Campana, direttore del Dipartimento di ingegneria, ICT e tecnologie per l’industria ed i trasporti del Consiglio Nazionale delle ricerche, racconta a RES Magazine le scelte strategiche operate nella definizione del programma triennale Ricerca di Sistema 2022-24, con una particolare attenzione a nuove fonti rinnovabili e tecnologie per l’accumulo, l’idrogeno nel medio e fusione nucleare nel lungo periodo, in grado di superare le attuali criticità di natura geopolitica collegate alle fonti energetiche ed ai materiali critici.

Ingegner Campana, sta per partire la nuova programmazione triennale 2022-2024 della Ricerca di sistema, appena pubblicata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Il nuovo programma presenta numerosi elementi di continuità con il programma 2019-2021, e qualche novità di rilievo. Quali sono a suo giudizio, tra le attività svolte da CNR tra 2019-21, quelle in cui sono stati raggiunti i risultati più significativi?


Vorrei premettere che il CNR ha sviluppato le proprie linee di ricerca in collaborazione con RSE e ENEA, con un percorso di collaborazione tra enti diversi ormai consolidato e molto proficuo. Per quanto riguarda le attività svolte nella passata programmazione, riprese in quella appena avviata, vorrei mettere in evidenza, oltre al tema dell’accumulo, quello dell’energia del mare, che sento molto perché in questo settore ho svolto gran parte della mia carriera di ricercatore.

Perché è importante parlare di accumulo?

Per rendere sostenibili le energie rinnovabili, che differiscono fra loro per energia erogata, potenze d’impianto, temporalità, si rendono necessarie differenti tecnologie di accumulo. Integrazione e sostenibilità ambientale ed economica sono diventate oggetto della ricerca per i prototipi di batterie e i sistemi integrati messi a punto in laboratorio. La ricerca si è focalizzata su materiali e componenti per le batterie, con lo scopo di migliorarne la ciclabilità, la capacità e la round-trip efficiency che ne rallentano lo sviluppo tecnologico. Anche sull’accumulo termochimico si è lavorato, con attenzione particolare ai materiali: è stata sviluppata una nuova generazione di materiali a base di microfibre adsorbenti capaci di aumentare del 50% l’efficienza di scambio termico.

Come si estrae energia elettrica dal mare?

È esperienza comune che il mare generi tanta energia, basti pensare alle onde, ma raccogliere questa energia è difficile perché il mare è un ambiente aggressivo per i prodotti dell’ingegneria umana: è un ambiente che corrode, è un contesto in cui si scatenano a volte forze enormi che possono completamente distruggere qualsiasi manufatto umano, che si tratti di piattaforme giganti o di navi di grandi dimensioni.

Per esplorare la possibilità di generare elettricità dal mare, il CNR ha realizzato, in collaborazione con l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, un laboratorio congiunto che si trova a Napoli, di fronte al Molo San Vincenzo. Questo rettangolo di mare che il demanio ci ha affidato è l’unico contesto nazionale nel quale la comunità scientifica può testare, al vero, dispositivi di energia rinnovabile. Attualmente abbiamo in prova una turbina eolica galleggiante, una sperimentazione che intendiamo continuare a portare avanti ed estendere, trasportandola nella nuova programmazione della Ricerca di Sistema. L’idea è quella di realizzare un Arcipelago Energetico Galleggiante, costituito da una grande quantità di isolotti con pale eoliche, collocato lontano dalla costa, in posizioni che non interferiscano con le attività economiche collegate al mare: turismo, trasporti, pesca. Questo arcipelago di pale eoliche galleggianti potrà essere arricchito di altri dispositivi, come pannelli solari o dispositivi che raccolgono energia dalle onde, generando in questo modo energia elettrica. Il trasferimento a terra dell’energia prodotta, invece che tramite tradizionali e costosi cavi elettrici (fatti di rame, uno dei materiali critici dai quali dobbiamo cercare di affrancarci) può essere fatta utilizzando l’idrogeno come vettore: l’energia prodotta dalle turbine viene utilizzata per produrre idrogeno verde tramite grandi elettrolizzatori, poi trasportato a terra via nave. È un processo concettualmente ed operativamente molto semplice, che richiede ancora attività di ricerca dal punto di vista tecnologico ma che potrebbe essere pronto ed utilizzabile nel giro di pochi anni.

L’idrogeno è appunto una delle due linee di ricerca previste dalla nuova programmazione 2022-2024 della Ricerca di sistema, insieme alla cybersecurity, all’interno di una strategia complessiva che si propone due obiettivi, la decarbonizzazione e la digitalizzazione delle reti. Perché questi due temi sono così importanti?

Faccio una premessa: il tema della transizione energetica – e dell’energia in generale – non sono problemi semplici, e non esiste un’unica risposta: le soluzioni vanno cercate in maniera armonica e solo una molteplicità di elementi consentiranno di fornire una risposta adeguata alla domanda di energia e di soddisfare il fabbisogno energetico del mondo. Sotto questo aspetto, ritengo che l’uso dell’idrogeno nel settore energetico sia destinato a diffondersi nel giro di non moltissimo tempo. Questo gas presenta infatti una serie di vantaggi, il più importante dei quali è che il prodotto della sua combustione è vapore acqueo, il che permetterebbe di risolvere il problema della produzione di CO2 che è tipico dei combustibili fossili. Rispetto ad essi, però, l’idrogeno ha un potere energetico inferiore: il Gas naturale liquefatto, per esempio, ha una capacità pari a tre volte quella dell’idrogeno, quindi se serve una nave di gas naturale per produrre una data quantità di energia, per produrre la stessa energia con l’idrogeno occorreranno tre navi. L’idrogeno ha anche altre caratteristiche complesse da gestire: è un combustibile che può deflagrare molto velocemente, ed ha quindi bisogno di temperature molto basse e di una tecnologia della sicurezza molto elevata, richiede quindi interventi infrastrutturali importanti. L’aspetto più importante, però, è che si tratta di una tecnologia per la quale non esistono impedimenti di natura teorica: la sua utilizzabilità è ormai assodata e il passo in avanti che vogliamo provare a fare nei prossimi tre anni di ricerca su questo tema è quello di realizzare elettrolizzatori di dimensioni sempre maggiori e di provare a produrre idrogeno partendo dall’acqua di mare. L’utilizzo di una materia prima così abbondante e disponibile a tutte le latitudini permetterebbe di eliminare alla radice tutti i problemi geopolitici legati all’attuale disponibilità delle materie prime energetiche, creando un contesto internazionale più equo.

L’altro tema nuovo della programmazione è quello della cybersecurity. Perché è così importante nella programmazione della ricerca e più in generale nei sistemi energetici del futuro?

Oggi l’obiettivo che ci poniamo è andare verso una transizione energetica verde, con una quota crescente di energie rinnovabili. Non esiste una rinnovabile prevalente, ce ne sono varie: per un paese come il nostro, per esempio, il solare può essere centrale. Oggi ciascuno di noi può mettere dei pannelli solari sul tetto della propria casa e creare una piccola centrale elettrica, con la quale soddisfare il proprio bisogno e cedere alla rete l’avanzo prodotto. Sono ormai molteplici le esperienze di comunità energetiche: città, villaggi, quartieri nei quali i cittadini producono energia, usano quella che serve loro e immettono in rete quella che non consumano.

Questo nuovo paradigma della produzione e del consumo di energia è destinato a modificare in profondità la struttura stessa delle reti di distribuzione. Fino a pochi anni fa infatti l’energia immessa nelle reti europee era quella prodotta dalle aziende monopoliste di ciascun Paese. Gli accessi alla rete erano dunque pochi e controllati, e la gestione molto più semplice. Frammentare la produzione dell’energia tra decine di migliaia di attori grandi, piccoli e piccolissimi connessi alla rete è una modalità nuova di distribuire l’energia in questa fase di transizione energetica verde, ma è anche un rischio potenziale, perché aumenta il rischio di accessi malevoli alla rete. Il progetto di ricerca sulla cybersecurity si propone appunto di migliorare la resilienza del sistema di fronte ad attacchi che sono ormai all’ordine del giorno.

Una dimostrazione di quanto le nostre reti energetiche siano interconnesse e fragili l’abbiamo avuta con le vicende belliche di questi ultimi mesi: con una guerra vicino casa nostra, con un paese aggressore ed uno aggredito, se qualcuno di questi paesi ha una posizione strategica sotto l’aspetto energetico le ripercussioni sul mercato dell’energia sono immediate.

Il tema della guerra e dell’invasione russa dell’Ucraina ci ha fatto capire che il tema dell’energia ha implicazioni ambientali ma anche di natura etica e sociale. Il CNR, ha uno dei suoi punti di forza nella multidisciplinarietà, che spazia dai temi scientifici alle scienze sociali, fino alla bioetica e alle scienze umane, è probabilmente in una posizione privilegiata per darci una visione di come la sostenibilità sociale ed etica debba sposarsi con la sostenibilità ambientale.

La multidisciplinarietà del CNR è senza dubbio un punto di forza del nostro sistema. In molti dei progetti assegnati dal PNRR al Ministero dell’Università e della Ricerca, per esempio, il CNR si sta occupando dei risvolti legali ed etici. Ma la mia opinione è che il rispetto dei diritti umani e i temi etici, così come la sostenibilità ambientale, devono entrare in pianta stabile all’interno dei corsi di laurea. Quando nel 1984 completai il mio corso di studio universitario in ingegneria meccanica la parola sostenibilità, così come i temi etici, erano totalmente assenti nei corsi di studio, dove tutt’al più si cominciava a porre il tema della sicurezza sul lavoro e nei processi produttivi. Questi temi devono essere un patrimonio degli studenti sin dalle prime fasi di formazione, solo in questo modo potremo avere un vero cambiamento di approccio. Inoltre la sostenibilità non deve più essere considerata un vincolo dei processi di produzione industriale, un livello che non deve essere superato; la sostenibilità deve invece diventare una delle funzioni obiettivo di qualsiasi progetto industriale, deve cioè essere inclusa nei risultati che vogliamo ottenere. Solo in questo modo potremo avere prodotti intrinsecamente sostenibili. Questo è il passaggio fondamentale che oggi va raccontato e spiegato agli studenti delle discipline STEM, soprattutto di ingegneria, facendolo sedimentare nelle generazioni del futuro.

Un’ultima domanda: come vede il futuro energetico del nostro Paese e del mondo da oggi a 10, 20, 30 anni? Quali cambiamenti ci riguarderanno?

Dieci, venti o trenta anni sono tre orizzonti temporali molto diversi. Se pensiamo al lungo periodo, per esempio al 2050, credo che per quell’epoca sarà disponibile la tecnologia della fusione termonucleare termocontrollata, un processo molto diverso dalla fissione alla quale siamo abituati. Nella fissione infatti si usano atomi pesanti che devono essere spezzati, con la produzione di radiazioni e di scorie la cui gestione è onerosa e con un notevole impatto ambientale. Nella fusione termonucleare controllata si usano invece atomi molto leggeri, non c’è il pericolo di radiazioni e sostanzialmente non vi sono scorie. La difficoltà attuale della fusione è di tipo tecnologico. Un recente esperimento condotto negli Stati Uniti, che ha avuto vasta eco mediatica, ha permesso di produrre più energia di quella che è stata immessa nel sistema utilizzando un raggio laser. In realtà però la quantità prodotta non è stata ancora pari alla quantità di energia complessivamente necessaria per alimentare il sistema, ma è stata solamente superiore a quella immessa con un raggio laser. Va detto inoltre che l’approccio alla fusione nucleare utilizzato in questo esperimento, il cosiddetto confinamento inerziale, appare adatto non tanto alla produzione di energia quanto piuttosto alla difesa e sicurezza, dal momento che il plasma viene colpito con il raggio laser per un tempo molto breve, e non è possibile produrre energia in maniera continuativa. L’approccio che segue invece il CNR nel progetto internazionale ITER, al quale partecipano Unione Europea, USA, Corea, Giappone, è basato sul confinamento magnetico. Questa sperimentazione è giunta ad una fase avanzata ma non ha ancora raggiunto l’obiettivo di produrre nel complesso più energia di quanta ne è richiesta sia per tenere in funzione il sistema sia per confinare il plasma.

Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma la fusione nucleare è senz’altro il futuro. Nel transitorio, serve incrementare notevolmente le rinnovabili, e occorre fare una riflessione seria sul nucleare a fissione, anche e soprattutto sui tempi che essa richiede: decidere oggi di costruire una centrale nucleare vuol dire infatti che quella centrale che iniziamo a progettare oggi produrrà energia tra dieci-dodici anni.

Per molto tempo ancora, quindi, dovremo continuare ad utilizzare il gas. Nel frattempo, la tecnologia ci dovrà aiutare a trovare alternative ai materiali critici come il litio, il rame, il manganese, il cadmio, le terre rare, superando così tutti i problemi ad essi collegati, sia di natura geopolitica che per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, che per i paesi dell’Unione Europea sono un aspetto distintivo della società del futuro. Ci vuole tanta pazienza, lavorare molto, e pensare bene a ciò che si sta facendo.