Idrogeno: un vettore importante in una low carbon economy

In un sistema energetico caratterizzato da rinnovabili, generazione distribuita e storage ci sarà bisogno anche di un vettore come l’idrogeno. Ne è convinto Fabio Orecchini, direttore del Dipartimento di Ingegneria della Sostenibilità presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi.

LE FORTUNE ALTERNE DELL’IDROGENO

Le  fortune alterne di questo gas sono legate soprattutto al settore della mobilità. Ad inizio millennio molte case automobilistiche presentarono i primi modelli immaginandone una diffusione su vasta scala entro il 2020. Prospettive alimentate anche da un interesse delle oil company. Giganti come Exxon e BP si sono poi chiamati fuori quando si è capito che le vere potenzialità stavano nel cosiddetto “idrogeno verde” prodotto da rinnovabili e non nell’ “idrogeno nero” prodotto da gas o addirittura da carbone. Determinante per l’affermazione dell’auto elettrica, a discapito dell’auto a idrogeno, è stata però l’esplosione, tra il 2005 e il 2010, del mercato delle batterie al litio, trainato da telefonia ed elettronica di consumo.

Arriviamo così al contesto attuale, in cui l’idrogeno, nella considerazione generale, è percepito come un passo indietro rispetto ai veicoli elettrici: “Non ha alleati forti – ci dice Orecchini – come possono esserlo le grandi utilities per l’auto a batterie. Grandi multinazionali interessate a sviluppare un sistema energetico basato sull’elettricità e a supportare lo sviluppo di una rete di ricarica”. Dunque, alcune soluzioni tecnologiche sono mature non solo per le auto ma anche per le celle a combustibile. Il mercato però è frenato poiché non si vede all’orizzonte la possibilità di sviluppare un vero sistema con una rete di distribuzione o di produzione decentrata.

Tuttavia, nello scenario energetico globale auspicato da Orecchini anche l’idrogeno sarà necessario. “In un contesto dominato dalle rinnovabili, l’auto elettrica e quella a idrogeno possono fornire servizi utili al sistema, sia di storage che di generazione. In alcuni casi poi, l’idrogeno ha addirittura potenzialità maggiori. Ad esempio, nello stazionario lo stoccaggio dell’idrogeno permette un utilizzo cogenerativo, poiché le celle a combustibile permettono di produrre sia elettricità che calore”.

RICERCA: ANCORA INDIETRO SUL FRONTE PRODUZIONE

E per quanto riguarda la ricerca? Un territorio non sufficientemente esplorato, secondo Orecchini, è quello della produzione diretta di idrogeno attraverso la scissione dell’acqua. Oggi, infatti, la stragrande maggioranza di questo gas  viene prodotta attraverso il reforming del metano e, in misura minore, per  elettrolisi. “Sia la fotolisi, che la termolisi hanno elevate potenzialità – spiega –  Nel primo caso si usa la luce per scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. Nel secondo caso il calore. È un processo che richiede altissime temperature. La termolisi è molto interessante, ad esempio, per il nucleare. Nella conversione energetica di un impianto termonucleare si usa pochissimo del potenziale termico che si ha a disposizione. Quel calore in eccesso potrebbe essere utilizzato per la produzione di idrogeno. Ma le temperature elevate necessarie per realizzare questo processo possono essere raggiunte anche con il solare a concentrazione. C’è infine una produzione biologica, una sorta di ‘biofotolisi’ che si avvale dell’utilizzo di alghe e batteri”.

L’altro settore di ricerca dove c’è ancora molto da fare è lo stoccaggio:  “Pensiamo alla mobilità: per le nostre esigenze abbiamo bisogno di concentrare molta energia in pochissimo spazio. Nel serbatoio di un’automobile a benzina è concentrata tanta energia in pochi litri. Per fare lo stesso con l’idrogeno dobbiamo arrivare o a pressioni molto elevate o a temperature molto basse. E dobbiamo immaginare tutto un sistema che deve funzionare o ad altissime pressioni o a bassissime temperature. Un sistema molto complesso, non intrinsecamente user frendly, quindi vicino all’utilizzatore finale. Anche in questo ambito, c’era un interesse per soluzioni più semplici da implementare, basate sull’utilizzo di materiali in grado di assorbire idrogeno per poi rilasciarlo. Ma non si è arrivati ancora a sfruttare tutto il potenziale della ricerca”.