Impianti delocalizzati e sistemi integrati: l’accumulo al servizio delle smart grid

Intervista ad Antonio Negri, direttore del Dipartimento ‘Ambiente e Sviluppo Sostenibile’ di RSE

“Accumulo, information technology e soluzioni diffuse sono, schematizzando, le tre grandi caratteristiche delle reti elettriche intelligenti”, spiega Antonio Negri, direttore del Dipartimento ‘Ambiente e Sviluppo Sostenibile’ di RSE. Sul tema dell’accumulo di energia, Negri ha curato nel 2011 una monografia per la collana RSEView. Con lui abbiamo voluto discutere del panorama attuale e delle prospettive della ricerca e del mercato.

Quali sono oggi i principali sistemi di accumulo dell’energia elettrica e quali sono invece le tendenze principali nel settore?
Tradizionalmente, l’accumulo si è fatto con gli impianti di pompaggio idroelettrico. Durante i periodi in cui i consumi elettrici sono più bassi, il surplus di energia viene utilizzato per alimentare delle pompe con le quali viene riempito d’acqua un bacino rialzato. Quando necessario, l’acqua viene fatta ricadere e le pompe, che in realtà sono delle pompe-turbine reversibili, producono energia elettrica. In Italia i sistemi idroelettrici coprono circa il 99% dei 7.500 MW di capacità installata di sistemi di accumulo. Naturalmente c’è una perdita di rendimento sia nel pompaggio che nel turbinaggio. Ma il grande vantaggio dell’accumulo è il time shift: si sposta la disponibilità dell’energia dalle ore di basso alle ore di alto consumo.
La ricerca sui sistemi di accumulo idroelettrici si concentra da un lato sul come aumentarne l’efficienza; dall’altro sull’utilizzo del mare come serbatoio dal quale pompare l’acqua necessaria a far muovere le turbine nelle fasi di maggiore domanda di energia. Una opzione questa che comporterebbe un risparmio economico e l’opportunità di localizzare questi impianti nelle isole e vicino le coste dove vento e sole sono più abbondanti, quindi dove potrebbero bene integrarsi con i parchi eolici o fotovoltaici
Tuttavia, anche per ovviare a problemi di carattere infrastrutturale, è emersa l’esigenza di avere impianti più piccoli. Questo è ancor più vero per il centro-sud Italia dove non sempre le caratteristiche geomorfologiche consentono di installare un impianto di pompaggio – la potenza degli impianti di pompaggio al centro-sud è circa un terzo di quella installata al nord – e dove impianti maggiormente delocalizzati consentirebbero di immagazzinare meglio l’energia in loco per poi rilasciarla quando la rete è più libera, evitando i cosiddetti colli di bottiglia verso il nord dove sono presenti i grandi centri di consumo. Si è cominciato allora a lavorare intensamente, in Italia così come nel mondo, sull’accumulo elettrochimico, ovvero le batterie. Oggi si stanno sviluppando delle nuove batterie, con grandi capacità di accumulo, maggiore rapidità di carica e scarica e con una vita utile in termini di cicli di carica e scarica sempre maggiore.

Di che ordini di grandezza parliamo?
Per quanto riguarda le grandi batterie parliamo di qualche MW, tra 1 e 10. Si tratta di grandi container da impiantare vicino alle cabine primarie dove maggiore è la necessità di accumulo e più debole è la rete: queste batterie suppliscono in parte a questa debolezza. Rispetto ai grandi sistemi idroelettrici, le batterie sono ancora in una fase di sviluppo non matura. Sono molto ingombranti rispetto alle reali capacità e ancora molto costose. In questo ambito, c’è una forte ricerca scientifica e tecnologica per ovviare ai problemi di capacità di accumulo per unità di peso, resistenza nel tempo ai cicli di carica e scarica e soprattutto costo.

Che tipo di materiali vengono impiegati?
Il grosso della ricerca si concentra sulle batterie a ioni di litio, tecnologia già applicata ad esempio per le batterie dei device elettronici o per le auto elettriche. Cominciano ad essere commercializzate anche quelle al nichel-idruri metallici, mentre esistono prototipi di batterie sodio cloruri e batterie redox al vanadio. In tutti i casi, il costo unitario non è ancora paragonabile a quello di un sistema di pompaggio.

Qual è il panorama per quanto riguarda i sistemi di accumulo ‘domestici’?
Anche per far fronte alla contrazione del mercato dovuta alla fine degli incentivi, i produttori di impianti fotovoltaici si stanno spostando sull’offerta di sistemi integrati, nei quali l’impianto, di tipo residenziale o per il terziario, è già affiancato da un piccolo sistema di accumulo. In questo modo, l’utente può ottimizzare l’utilizzo dell’impianto, massimizzando l’autoconsumo e gestendo al meglio lo scambio con la rete. La loro diffusione è comprovata dal fatto che l’Autorità per l’Energia elettrica e il GSE stanno lavorando su di una regolamentazione ad hoc per lo scambio di energia con la rete. Sono sistemi per lo più basati su batterie a ioni di litio o al nichel, compatti ed estremamente affidabili. In genere hanno una durata compatibile con quella dell’impianto, ad esempio le batterie a ioni di litio arrivano fino a 5.000 cicli di carica e scarica con un’efficienza che si attesta intorno al 90%. Chiaramente aumentano il costo, già elevato, del fotovoltaico, ma ne migliorano la competitività economica. C’è da ricordare che ormai il fotovoltaico si sta avvicinando a quella che si chiama la grid parity, ovvero l’energia resa da un fotovoltaico può competere con il prezzo dell’energia resa all’utente finale dalla rete di distribuzione in bassa tensione. Sono sistemi che si affermeranno sempre di più anche perché i produttori italiani sono particolarmente affidabili e ‘agguerriti’.

Ci sono problemi inerenti lo smaltimento?
Lo smaltimento è un tema ancora non pienamente affrontato ma credo che alla fine si possa risolvere come è stato fatto per il Cobat, il Consorzio delle batterie esauste, un consorzio volontario che mi sembra stia funzionando egregiamente.

Quali sono i progetti sui quali si sta concentrando RSE?
Per ciò che concerne i sistemi di accumulo elettrochimici, il nostro lavoro si divide da un lato nello sviluppo di celle innovative, dall’altro nello studio e nella valutazione degli accumulatori già esistenti. Come con altre tecnologie, RSE prende dei componenti già commercializzati o in fase di prototipo per verificarne in maniera indipendente, nei propri laboratori, le prestazioni e il ciclo di vita. Lo abbiamo fatto con i collettori fotovoltaici, ad esempio, e ora lo stiamo facendo con gli accumulatori elettrochimici. Ma RSE è al lavoro anche sui sistemi di accumulo idroelettrici. Nello specifico, stiamo affinando il progetto per un impianto di pompaggio marino per un località della Sardegna, una zona dove insistono parecchi impianti eolici di dimensioni rilevanti che potrebbero quindi ricevere un vantaggio di tipo tecnico ed economico dall’avere vicino un grande impianto per l’accumulo.
Infine, a livello più prettamente teorico, stiamo studiando una variante del CAES, un sistema che utilizza l’aria compressa. Un’ulteriore possibilità di accumulo è infatti quella di comprimere l’aria con un compressore mosso da un motore elettrico, immagazzinare l’aria in qualche caverna sotterranea e tirarla fuori quando c’è necessità per farla espandere in turbina. È un sistema ancora relativamente ‘giovane’, ma in Italia ci sarebbero buone possibilità di sviluppo e, sulla carta, i costi sarebbero inferiori a quelli delle batterie.

A cura della redazione