“Le comunità energetiche ci aiuteranno a sostenere la ripresa”

Girotto, presidente Commissione Industria del Senato, spiega come le comunità energetiche miglioreranno stabilità e sicurezza della rete 

Le comunità energetiche sono un tema che abbiamo trattato in più occasioni su Res Magazine, soprattutto per approfondire gli aspetti legati alle dinamiche di rete che innescano, agli stimoli per il sistema delle rinnovabili, alle ricadute territoriali. Negli ultimi tempi poi, con l’accelerazione richiesta dal sommarsi di varie crisi, il tema ha finito per assumere un valore più ampio e più direttamente collegato agli aspetti sociali prodotti dall’impennarsi dei costi energetici.

E’ quindi arrivato il momento di ampliare il dibattito aggiungendo ai giudizi dei ricercatori e degli esperti che lavorano direttamente sul campo anche le voci di altri protagonisti della scena energetica. Cominciano chiedendo il parere di Gianni Pietro Girotto, presidente della Commissione Industria, commercio, turismo del Senato.

Qual è il contributo che la crescita del numero di comunità energetiche può dare all’Italia in termini di minore dipendenza energetica dall’estero?

“Direi rilevante. Oggi usciamo con fatica da una pandemia che ci ha economicamente devastato, dobbiamo fare i conti con il problema del caro energia, che è il risultato delle scelte sbagliate degli anni passati che ci hanno legato alle fossili e delle speculazioni sui profitti legati ai mercati dell’energia, e siamo nel bel mezzo di una guerra i cui scenari non promettono nulla di buono. Puntare alla ripresa ed edificare la resilienza significa compiere scelte politiche coraggiose e guardare alla transizione energetica come a una grande opportunità. Le comunità energetiche sono la soluzione strutturale più immediata per arrivare a una maggiore indipendenza energetica. La possibilità di produrre e autoconsumare localmente e collettivamente l’energia elettrica prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili rivoluziona il sistema energetico del nostro Paese: non più grandi operatori e grandi centrali fossili, ma un sistema decentrato e basato su fonti di energia pulite, inesauribili e non inquinanti, il cui baricentro di produzione e consumo sono i territori. Possiamo realisticamente dire che un quarto del fabbisogno potrebbe essere soddisfatto dalle comunità energetiche. Ridurre la dipendenza energetica dall’estero significa rendersi indipendenti anche sotto il profilo politico”.

Il decentramento della produzione elettrica legato alla moltiplicazione delle comunità energetiche è considerato anche un elemento di stabilizzazione della rete, di maggior resilienza del sistema energetico nazionale. Perché?

“L’ARERA ha riconosciuto che tecnicamente le comunità energetiche ‘stressano’ molto meno la rete e contribuiscono a ridurne lo sbilanciamento, con una serie di vantaggi economici che si traducono anche in risparmi sugli oneri di rete. Avere una rete decentralizzata, inoltre, consente di mettersi al riparo sia da eventuali operazioni di sabotaggio sia da rischi metereologici. Gli organismi internazionali di sicurezza da anni ci confermano che i maggiori attacchi telematici coinvolgono la logistica e le infrastrutture energetiche. Lo stesso discorso vale relativamente ai guasti (e alle relative operazioni di manutenzione) legati agli eventi atmosferici avversi che si stanno moltiplicando a causa degli sconvolgimenti climatici, tra l’altro causati proprio da quelle fonti fossili che vogliamo sostituire. È chiaro che avere un sistema molto distribuito è un elemento di forte resilienza”.

Fino a qualche anno fa di comunità energetiche si parlava poco. Erano considerate un elemento marginale all’interno del sistema elettrico. Cosa ha prodotto il notevole aumento di attenzione che oggi ricevono sia a livello europeo che italiano?

“Se ne parlava poco perché la Direttiva europea è del 2018 e la legge di recepimento italiana è del 2020, quindi effettivamente è un argomento cronologicamente piuttosto recente. La pandemia di sicuro non ha aiutato a diffonderne la conoscenza (ad oggi sono molti di più gli italiani che non hanno idea di cosa siano rispetto a quelli che le conoscono), ma l’attenzione sulle comunità energetiche era già molto alta, anche grazie alle esperienze extra nazionali di Paesi che ne hanno colto le grandi potenzialità e i vantaggi sociali offerti. Vero è che il problema del caro energia è stata una leva che ha scatenato la ricerca di soluzioni strutturali che fossero capaci di arginarlo, e tra queste ci sono ovviamente le comunità energetiche”.

Quali sono state le difficoltà tecnologiche e amministrative da superare?

“Ho parlato del grande limite da superare relativamente alla conoscenza della materia. Invece a livello burocratico-amministrativo le cose vanno meglio perché siamo riusciti a mantenere la normativa snella e semplice, e lo dimostrano le comunità che sono nate in pochi mesi. Zero difficoltà anche sul piano tecnologico. L’Italia è da sempre un Paese leader per quanto riguarda l’integrazione delle fonti rinnovabili nella rete. Ad oggi sono più di un milione gli impianti a fonti rinnovabili collegati alla rete elettrica, un processo avvenuto relativamente in poco tempo e senza che nessuno abbia sofferto particolari problemi, proprio grazie alle elevate competenze tecnologiche. Mi sento anche di confermare che un domani le comunità energetiche potranno non solo contribuire alla stabilità della rete, come detto poco fa, ma anche garantire un servizio di e quindi un uso più efficiente delle infrastrutture e delle risorse energetiche”.

L’ingresso delle comunità energetiche nel dibattito italiano ha sottolineato l’importanza di un aspetto che proprio in questo periodo sta emergendo come particolarmente importante, quello della lotta alla povertà energetica. Come si svilupperà questo tema?

“Non si può più ignorare la difficoltà che oggi abbiamo, come famiglie o imprese, nel pagare le bollette. Possiamo continuare a tamponare, come accaduto quando la situazione si è fatta critica, ma così facendo non si risolve il problema in maniera strutturale. Le comunità energetiche, invece, sono in grado di contribuire in maniera efficace ad affrontare il problema della povertà energetica e a innescare un circolo virtuoso di vantaggi economici, ambientali e sociali. Laddove, poi, vi siano terzi in condizione di finanziare l’avvio di una comunità energetica (penso agli enti pubblici, che hanno a disposizione numerosi fondi da impiegare sulle comunità), i cittadini possono diventarne membri senza dover pagare alcuna tariffa di ingresso e godendo solo dei vantaggi a essa connessi. È quello che hanno fatto le prime comunità energetiche pubbliche, perché sostenute economicamente dai Comuni. Ritengo che questo sia un grande supporto che esse possano fornire soprattutto nelle situazioni di povertà energetica”.

Quindi per le comunità energetiche vede in proiezione una crescita importante.

“Assolutamente sì, anche perché ci offrono l’opportunità di velocizzare al massimo il processo d’indipendenza energetica, assolutamente necessaria per avere una reale indipendenza politica. Le comunità energetiche avranno un ruolo sempre più importante nei prossimi anni, quando l’elettricità andrà a sostituire il gas per il riscaldamento e i carburanti per le auto. Sono sempre più numerose le iniziative locali che scelgono una produzione decentralizzata di energia attraverso l’uso di fonti rinnovabili e che pongono al centro l’ambiente, il territorio e il coinvolgimento attivo della cittadinanza, contribuendo ad alimentare quindi la coesione sociale. Teniamo presente che le comunità energetiche avranno un perimetro fisico più ampio (dalla cabina di medio-bassa tensione alla cabina primaria) e una potenza maggiore (dai 200 kW a 1 MW). I meccanismi di incentivazione (tariffe incentivanti sull’energia condivisa, detrazioni fiscali e risorse previste nel PNRR) unitamente all’elevato costo dell’energia, poi, offrono le condizioni ideali per una loro ulteriore implementazione. Puntare su questa opportunità significa costruire un futuro energetico molto più democratico e pacifico e immaginare un mondo migliore per i nostri figli”.