Per una via italiana alle smart cities

Una via italiana alle smart cities che punti sull’efficienza energetica, sulla “ristrutturazione smart” dei nostri centri storici, sui servizi per il turismo sarebbe la soluzione ottimale non solo per migliorare la qualità della vita dei cittadini ma anche per creare opportunità di crescita per l’industria nazionale. Ne è convinto Mario Calderinidocente al Politecnico di Milano e presidente del Comitato tecnico delle comunità intelligenti costituito presso l’Agenzia per l’Italia digitale

L’energia e i servizi ad essa connessi – ad esempio nel campo delle smart grid e della mobilità elettrica – sono un ambito importante di sviluppo di soluzioni che contribuiscono a configurare una città intelligente. Dalla sua esperienza, a che punto siamo in Italia su questo versante? Ci sono delle realtà d’eccellenza, delle sperimentazioni degne di nota? E più in generale quali sono le applicazioni sulle quali bisogna investire?
L’energia è sicuramente un vettore fondamentale nello sviluppo delle smart ci1ties. Per ciò che concerne le smart grid ci sono state delle applicazioni modellate sull’esempio di alcune città europee che hanno sperimentazioni all’avanguardia come Friburgo e Amsterdam. Aveva iniziato Genova con un piano che probabilmente è stato il migliore esempio di partenariato pubblico-privato, molto orientato alle smart grid e più in generale all’utilizzo intelligente delle risorse energetiche in ambito metropolitano. Soluzioni interessanti sono state sviluppate anche a Torino e in alcune città del sud.  Sulla mobilità elettrica, altro ambito di grande importanza, si registrano alcune sperimentazioni nazionali focalizzate soprattutto sulla logistica dell’ultimo miglio. Si tratta probabilmente del settore che può avere il maggiore impatto, il maggior ‘peso specifico’ nella direzione delle smart cities, dal momento che è difficile ipotizzare per l’utenza privata una diffusione massiva di motori elettrici, almeno nel breve-medio termine.
Bisogna dire che fino ad oggi, gli assi fondamentali sono stati molto guidati dalla tecnologia. Tuttavia, credo che la frontiera stia nel cambiamento dei comportamenti energetici. Da questo punto di vista in Italia non abbiamo sperimentazioni significative e ancora una volta dobbiamo guardare all’estero come ad esempio ad Helsinki. Io ritengo che questa sia una delle chiavi di volta per riuscire a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei consumi e delle emissioni di gas serra che ci siamo dati. La strada da percorrere non è solo quella dell’innovazione tecnologica ma anche quella che punta a cambiare i comportamenti degli utenti: la consapevolezza che con poche accortezze si possono ridurre i consumi energetici. Ovviamente, ciò pone un problema per le utilities, perché i cambiamenti auspicati determineranno una riduzione dei consumi energetici. Per questo è importante che gli attori del mercato capiscano che il futuro non è più quello di vendere energia ma quello di vendere confort ai cittadini.

Lei ha citato Helsinki: esistono dunque delle applicazioni che promuovono un diverso comportamento dell’utente finale?
In virtù di una vasta diffusione di strumenti mobili per la connettività, soprattutto tablet – prerequisito questo che in Italia non può essere dato per scontato- in Finlandia sono stati sviluppati degli strumenti software che consentono di modulare i propri comportamenti: da un lato perché restituiscono in tempo reale l’impatto che hanno sul benessere collettivo le nostre decisioni di consumo; dall’altro perché consentono il coordinamento tra persone che abitano nelle stesse aree della città. Un esempio molto banale: la decisione di non utilizzare la lavatrice quando la sta utilizzando il nostro vicino di casa. Questi meccanismi di condivisione delle informazioni sono in fondo l’altro lato delle smart grid, il lato che riguarda l’utente finale.

Dunque, queste applicazioni basate sull’Ict in Italia ancora non decollano.
No, non ancora. Ci vuole qualcuno che traini questi processi e probabilmente non abbiamo ancora una cultura per l’utilizzo consapevole degli strumenti digitali applicati al settore energetico. Inoltre, nelle realtà europee citate, la pervasività degli strumenti digitali e l’abitudine al loro utilizzo è ad un livello tale che può consentire l’ideazione e l’effettiva applicazione di queste soluzioni.

Al di là del settore energetico, in passato lei ha scritto che potremmo sviluppare una “via italiana alle smart cities”, concentrandoci su servizi modellati sulle peculiarità del nostro paese.
Ho sempre sostenuto che le politiche per le smart cities debbano avere due obiettivi principali: migliorare la qualità della vita dei cittadini e generare delle opportunità di sviluppo e di crescita dell’industria nazionale. Le smart cities sono nate su impulso della Commissione Europea, principalmente nella Direzione Generale energia e poi in parte in quella mobilità. Noi però ci dobbiamo chiedere se su queste tematiche l’industria italiana è pronta a rispondere. L’errore che non dobbiamo commettere un’altra volta è quello del fotovoltaico: ci siamo dati il giusto obiettivo di modificare il sistema di approvvigionamento energetico delle nostre città ma gran parte dei nostri incentivi alla domanda sono andati a beneficio di industrie non italiane perché evidentemente non eravamo ancora pronti per sostenere una produzione in quel campo. Quindi sulle smart cities dobbiamo incentivare la produzione di tecnologie che l’industria italiana è in grado di fornire. Rimanendo nell’abito dell’energia, se dobbiamo scegliere una direzione in cui andare potrebbe essere quella dell’efficienza, del risparmio energetico passivo e quindi dell’architettura sostenibile. Costituirebbe un’opportunità molto più grande per tutto il nostro tessuto produttivo di piccole e medie imprese. Non che il fotovoltaico non sia importante, ma se dobbiamo scegliere, puntiamo su quelle che sono le partite ancora aperte per la nostra industria.
L’altro ambito di intervento potrebbe riguardare i nostri centri urbani, così unici sia per la loro grande densità abitativa che per il loro patrimonio architettonico di valore ma datato. Potremmo intervenire con operazioni di risparmio energetico, ristrutturazioni, sensoristica. Se intervenissimo con operazioni simbolo, ad esempio a L’Aquila o a Matera, potremmo costituire un nostro modello di ‘ristrutturazione smart’ di centri storici da rivenderci in giro per il mondo.
Quindi l’idea è di individuare alcuni asset caratteristici del paese – la conservazione del patrimonio culturale, i centri storici ad alta densità abitativa, il turismo – e porli al centro dello sviluppo di un pacchetto di competenze specifiche della nostra industria.

A che punto è il lavoro portato avanti dal Comitato Tecnico per le smart cities and communities all’interno dell’Agenda Digitale?
Stiamo lavorando ad un rapporto da indirizzare alla Presidenza del Consiglio dei ministri, un piano per le città intelligenti. Il rapporto si concentra sull’individuazione degli strumenti finanziari più adatti alle smart cities, sulla predisposizione di strumenti di monitoraggio e misurazione, sulla definizione di una piattaforma che possa rendere replicabili e interoperabili le applicazioni che verranno sviluppate

Nel vostro lavoro quali strumenti finanziari avete individuato come più efficaci?
Ci sono tre assi principali. Il primo riguarda come indirizzare verso le smart cities i fondi strutturali in mano alle Regioni, con Horizon 2020 come strumento prioritario. Puntiamo molto poi sul partenariato pubblico-privato: quindi dalle esco alle soluzioni di project financing ecc. Ma – e questo è l’altro asse sul quale lavorare – ancora prima di ciò dobbiamo intervenire sugli acquisti delle pubbliche amministrazioni, spingendole a privilegiare le tecnologie intelligenti e non le soluzioni al massimo ribasso. Ed è questo il modo migliore per trovare delle risorse per le smart cities.

Voi state lavorando anche allo statuto della Cittadinanza intelligente. Di che si tratta e a chi è rivolto?
Lo Statuto della cittadinanza intelligente, che rientra nel piano per le città intelligenti, serve a due cose. In primo luogo a definire quelli che sono i diritti minimi di cui deve godere un cittadino al quale viene detto di vivere in una città intelligente. In una città intelligente i servizi al cittadino, i trasporti ecc dovrebbero funzionare in un certo modo e questo statuto vuole stabilire quali sono le prerogative essenziale dei cittadini, i diritti minimi appunto. Dall’altro canto, lo Statuto deve fungere da accordo tra diverse amministrazioni dello stato. L’idea è che l’amministrazione centrale possa distribuire risorse sulla base della sottoscrizione degli impegni individuati nello Statuto e del raggiungimento di determinati obiettivi da parte delle amministrazioni locali.

A cura di Francesco Sellari