Perovskiti: i materiali ibridi per il nuovo fotovoltaico

E’

l’incontro tra due mondi: una delle frontiere più promettenti in campo energetico nasce dall’unione di organico e inorganico. Sono i nuovi materiali che fondono due vantaggi: da una parte l’ordine strutturato dell’inorganico, dall’altra la flessibilità e l’economicità dell’organico. Non solo per lo storage ma anche per la produzione di elettricità. Parliamo delle perovskiti ibride.

“È cominciato tutto attorno al 2012 – 2013, quando sono si sono cominciati a ottenere risultati importanti in laboratorio”, racconta Mario Caironi, un ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia che ha vinto il premio di ricerca dell’Erc, European Research Council. “Si è capito che eravamo di fronte a un passaggio importante e in tutto il mondo migliaia di ricercatori si sono dedicati a questo filone. Oggi tutte le università che si occupano di scienza dei materiali lavorano sulle perovskiti”. I materiali ibridi – continua Caironi – sono stati applicati in molti campi. Ad esempio per il water splitting, cioè per ricavare idrogeno e ossigeno dall’acqua attraverso l’elettrolisi. Ma è un processo molto costoso dal punto di vista energetico e dunque per il momento rimane una possibilità teorica.

Molto più concreta invece è la prospettiva aperta dal cosiddetto “tandem”, l’abbinata di organico e inorganico per la produzione di elettricità con il fotovoltaico. “Quello che va per la maggiore oggi è un materiale che comprende nella sua struttura molecole a base carbonio e sostanze inorganiche, essenzialmente metalli”, continua Caironi. “Sono le perovskiti ibride che hanno una struttura ordinata come quella del silicio e nello stesso tempo garantiscono i bassi costi e le perfomance dell’organico”.

Dunque le perovskiti rappresentano una delle due componenti del tandem. L’altra è il classico pannello di silicio cristallino. E l’idea vincente è stata l’alleanza. Si sarebbero potuti creare sistemi di produzione autonomi per far nascere una filiera fotovoltaica basata sui materiali ibridi, ma questa scelta avrebbe comportato grandi costi e grandi rischi imprenditoriali: oggi la Cina ha un dominio quasi esclusivo sulla produzione delle basi del fotovoltaico perché la competitività in questo settore richiede numeri che stiano in campo a livello globale.

Invece con la tecnica del tandem si sovrappone una struttura all’altra: si depone il materiale ibrido sul pannello fotovoltaico aumentandone le rese di qualche punto percentuale. “Due o tre punti percentuali possono sembrare poco a chi non è del settore, ma si tratta di un salto molto importante”, precisa Caironi. “Ormai per i pannelli di silicio, cristallino o policristallino, la battaglia della competitività si gioca sulla capacità di migliorare la resa dello 0,1% o dello 0,2% perché la tecnologia è arrivata a livelli altissimi. Con il tandem si ottiene un aumento che è oltre dieci volte più alto: in pratica si sommano due diverse capacità di cattura della luce solare. Inoltre in laboratorio le perovskiti ibride sono già arrivate a rese che oscillano attorno al 22%, un ordine di grandezza non lontano da quello del silicio cristallino”.

In questo campo la ricerca sta investendo in modo significativo perché i traguardi ormai a portata di mano sono molto interessanti. Inoltre con il tandem non si occupa altro spazio e la tecnologia può essere prodotta ovunque a costi ridotti.

“L’integrazione del parco fotovoltaico esistente è un’opzione che sta guadagnando terreno”, aggiunge Caironi. “Restano da effettuare verifiche importanti: sulla stabilità delle perovskiti nell’arco dei 25 anni di vita media del pannello fotovoltaico; sulla resistenza del materiale organico all’esposizione all’acqua e ai contaminanti atmosferici; sulle alternative al piombo, un metallo ad alto impatto ambientale che oggi viene usato molto spesso all’interno della struttura di questi materiali ibridi. Ma sono problemi in via di superamento. Io credo che le previsioni delle aziende – portare sul mercato questi materiali entro il 2019 – si avvereranno”