PHOTORAMA: la tecnologia Enea per il riciclo del fotovoltaico

Intervista a Massimo Izzi, responsabile progetto PHOTORAMA.

UN PROGETTO HORIZON 2020

Il passaggio di una quota crescente di energia dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili è un passo avanti importante in direzione della decarbonizzazione netta della società da raggiungere entro il 2050. Tuttavia questo passo avanti è necessario ma non sufficiente. Per chiudere il cerchio della sostenibilità, il ciclo di vita dei vari segmenti che compongono il sistema delle rinnovabili deve essere basato il più possibile sulla circolarità dei materiali utilizzati e sulla correttezza sociale delle procedure di lavorazione. Ecco perché l’Enea (assieme a un pool formato dal francese CEA, da Mondragon Assembly e da Enel Green Power) ha dato vita a un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europa attraverso Horizon 2020. Il progetto si chiama PHOTORAMA, un acronimo piuttosto complicato: sta per PHOtovoltaic waste management – advanced Technologies for recOvery & recycling of secondary RAw MAterials from end of life modules.

“Non si può più pensare di sviluppare le rinnovabili consumando sempre nuove materie prime e spedendo in discarica materiali critici. Cioè materiali le cui riserve non sono sufficienti rispetto alla domanda. O che vengono estratti in aree del mondo in cui non c’è sufficiente attenzione alla tutela del lavoro, alla protezione dei minori e alla sicurezza ambientale. O che determinano tensioni geopolitiche perché concentrati in un ambito territoriale molto ristretto”, spiega Massimo Izzi, il ricercatore Enea responsabile scientifico del Progetto PHOTORAMA. “L’alternativa è un robusto incremento della capacità tecnologica di recupero dei materiali utilizzati nel ciclo di vita delle rinnovabili. Noi siamo partiti dal fotovoltaico perché è il settore che coinvolge la maggior quantità di materiali da recuperare nei prossimi anni”.

NUOVE TECNOLOGIE PER IL RECUPERO DEI MATIERIALI

L’analisi parte dalla fotografia del presente. Oggi il processo di riciclo di questo segmento produttivo ha già raggiunto un buon livello, ma manca ancora uno step fondamentale, quello che porta alla competitività.

“La competitività è il nostro obiettivo e bisogna leggere con attenzione i numeri, perché a una prima occhiata distratta potrebbero sembrare già sufficientemente buoni”, continua Izzi. “Ma partiamo dall’inizio, dal pannello fotovoltaico arrivato a fine vita. Questo pannello è come un sandwich. È circondato da un telaio in alluminio ed è composto da diversi strati: una lastra frontale in vetro, uno strato di celle solari, una lastra posteriore in polimero o vetro. A sigillare il tutto è un materiale plastico. Bene, per il frame che racchiude la cella non ci sono grossi problemi: polimeri, vetro e alluminio vengono separati e recuperati. Spesso il vetro è sano e può essere ricondizionato. La difficoltà comincia quando ci avviciniamo al cuore del prodotto, alla cella fotovoltaica”.

Le tecniche oggi utilizzate sono basic: tutto viene frantumato, ridotto sostanzialmente a una poltiglia dalla quale sono estratti silicio e argento (gallio, indio, selenio nel caso dei film sottili) attraverso una serie di processi che comportano l’uso di acidi inquinanti, alte temperature per la fusione, un consistente impiego di acqua. Questo sistema porta a un recupero quantitativamente consistente ma qualitativamente carente a causa dell’impatto ambientale prodotto e del consumo idrico.

“Noi abbiamo messo a punto una tecnologia di delaminazione molto meno invasiva”, spiega il responsabile del progetto. “Si interviene sulla cella fotovoltaica con una sorta di bisturi, un filo diamantato che separa i vari componenti. Il progetto si propone il riciclo delle due tipologie di moduli presenti sul mercato: moduli a base di silicio (90% del mercato) e moduli a film sottile come CIGS (10% del mercato; nei film sottili non ci sono wafer di silicio). Per i moduli a base di silicio, il filo diamantato separa le celle fotovoltaiche da vetro e materiali plastici all’interno del modulo. A questo punto si passa al recupero dei materiali critici che compongono la cella, silicio ed argento, attraverso una nuova tecnologia a ioni liquidi. Per i moduli a film sottili in CIGS (non ci sono wafer di silicio) si usa una nuova tecnologia che sfrutta la solubilità dell’indio e del gallio in soluzioni a basso contenuto di acido. I solventi acidi vengono in gran parte riutilizzati e l’impiego di acqua è decisamente più basso rispetto alle tecnologie convenzionali a base di acido. Indio e gallio verranno recuperati in percentuali di oltre il 99%”.

ABBASSARE I COSTI DEL PROCESSO PER RENDERLO COMPETITIVO CON L’ACQUISTO DI MATERIE PRIME

Questa tecnologia permette di passare dall’attuale 95% di recupero dell’argento al 98% e da un grado di purezza di circa il 90% al 99,9%. Può sembrare un aumento relativamente modesto, ma è quello che fa la differenza, è quello che permette di abbassare i costi del processo fino a renderlo competitivo con l’acquisto di materia prima. A oggi il costo del disassemblaggio del pannello nella sua interezza è compreso tra 0,1 e 0,3 euro per chilo: va abbassato almeno del 30-40 %. Infine c’è da considerare il significativo risparmio idrico che riusciamo a ottenere”.

Anche il silicio viene recuperato e raffinato prima di venire riutilizzato. Perché il riutilizzo nella filiera del fotovoltaico è lo scopo di questo intervento di economia circolare che punta al passaggio da tecniche di down-cycling (si ottengono prodotti a basso valore) a tecniche di up-cycling (si ottengono prodotti ad alto valore).

Naturalmente lo sforzo del progetto PHOTORAMA è concentrato sugli aspetti tecnologici della questione (la nuova tecnologia permette di ottenere la più alta percentuale di riciclo a livello mondiale).

Ma è sostenuto da un intervento dell’Unione europea a tutto campo. Il pacchetto dell’economia circolare impone infatti quote di prodotto recuperato e certificato sotto vari profili, compresi quelli che garantiscono che provenga da circuiti che non utilizzano mano d’opera minorile e che garantiscono la sicurezza ambientale e dei lavoratori.

“Abbiamo scelto di puntare sui moduli fotovoltaici a fine vita per il volume di materiale che dovrà essere dismesso nei prossimi anni”, conclude Izzi. “Secondo Irena, l’International Renewable Energy Agency, nel 2030 saranno in gioco ben 10 milioni di tonnellate di pannelli fotovoltaici. E si arriverà a circa 78 milioni di tonnellate nel 2050. E’ una quantità con cui sarebbe possibile, in linea teorica, realizzare oltre 2 miliardi di nuovi pannelli fotovoltaici e generare un giro di affari di 15 miliardi di dollari. Sono dati da cui risulta evidente che acquisire un vantaggio tecnologico in questo campo può risultare una scelta vincente anche sul piano economico oltre che ambientale”.