Power to gas e chimica diffusa per il futuro dell’idrogeno

Il power to gas apre alla produzione non solo di energia, ma anche di una serie di prodotti chimici che inglobano Co2.

Produrre idrogeno mettendo in contatto, sul posto, impianto di trasformazione e consumatore. Un impianto di trasformazione che utilizza principalmente energia rinnovabile quando è disponibile, stoccando l’eccedenza. Potremmo dire a chilometro zero e a minuto zero. È questa una delle strade che il CNR considera tra le più promettenti per dare un contributo significativo alla decarbonizzazione del Paese prevista al 2050. Lo spiegano due esperti del settore, Vincenzo Antonucci e Antonino Aricò, dell’Istituto CNR-Itae di Messina (Tecnologie avanzate per l’energia).

IDROGENO: GLI OSTACOLI DELLO STOCCAGGIO E DEL TRASPORTO

A questa conclusione si arriva con un ragionamento che parte dal problema principale che oggi l’idrogeno si trova davanti: il differenziale di costo rispetto alle fonti fossili. “Oggi per fare il pieno di idrogeno a un veicolo, a parità di tassazione, si spenderebbe circa tre volte di più rispetto alla benzina o al diesel. E rispetto al pieno elettrico di un’auto che utilizza batterie al litio ancora di più”, spiega Aricò. “Tra i fattori che portano a questa situazione bisogna considerare le difficoltà di stoccaggio e trasporto dell’idrogeno. Le opzioni sono infatti due: o contenere l’idrogeno in volumi ridotti comprimendolo a 700 bar o portarlo allo stato liquido arrivando a bassissime temperature. Delle due, la soluzione più praticabile è la prima. Ma in questo modo si ha comunque un aumento del 15% dell’energia utilizzata per la produzione di gas pressurizzato rispetto all’idrogeno senza compressione”.

Di qui l’idea di abbassare i costi sfruttando al meglio i picchi di generazione delle fonti rinnovabili. In pratica si pensa a un’infrastruttura di rifornimento basata su stazioni di servizio che dispongono sia di impianti di produzione dell’idrogeno che di piccole torri di stoccaggio.

“Così si potrà produrre in funzione della disponibilità e della richiesta”, continua Aricò. “L’elettrolizzatore lavorerà al massimo della capacità quando c’è surplus di energia rinnovabile e utilizzerà le scorte accumulate quando l’offerta elettrica green scende. I vantaggi sono consistenti perché durante il picco di produzione elettrica da fonte rinnovabile il prezzo dell’energia può diventare addirittura negativo visto che fermare alcuni impianti, ad esempio quelli eolici, può comportare un costo. D’altra parte anche un eccesso di produzione da rinnovabili può congestionare la rete. Quindi bisogna scegliere tra le possibili opzioni quelle in grado di meglio contenere il problema. Tanto è vero che la Danimarca, che per legge non può bloccare le pale eoliche anche quando c’è una sovrapproduzione di energia, paga una fee per cedere questa elettricità alla Germania che invece permette l’alt avendo deciso di usare la rete come buffer”.

Questo problema appare oggi marginale, ma la situazione è in rapido cambiamento e il quadro al 2050, quando l’Europa dovrebbe essere decarbonizzata, sarà molto diverso da quello attuale, con una presenza di rinnovabili estremamente diffusa. Dunque visto che ciò che ora incide di più sul costo dell’idrogeno green è il prezzo dell’elettricità da rinnovabili, in un prossimo futuro si avrà un doppio vantaggio nello scenario idrogeno appena descritto. Da una parte il costo dell’elettricità green calerà, dall’altra l’offerta di soluzioni appropriate per lo stoccaggio sarà sempre più apprezzata.

Oggi – continua Aricò – il costo dell’idrogeno in Italia per applicazioni automotive è di circa 13 euro al kilogrammo se si considera quello proveniente da elettrolisi con il mix elettrico attuale. Mentre in Germania è vicino ai 10 euro. Rifornire un bus da 12 metri per percorrere 100 chilometri significa spendere 90 euro contro i 60 di un pieno diesel. Sembrerebbe una distanza ridotta, ma il confronto non include la differenza fiscale: togliendo le tasse che gravano sui fossili il gap aumenta in modo consistente. Per arrivare alla parità bisogna scendere da 10 euro al chilogrammo a 2 o 3 euro. Un percorso lungo ma non impossibile.

I trasporti comunque – aggiunge Vincenzo Antonucci – rappresentano solo uno degli sviluppi dell’idrogeno. La chiave più interessante è interpretare questo vettore come chiave unificante di vari mercati e di varie tecnologie: dalla mobilità agli usi stazionari e industriali.

IL POWER TO GAS AL SERVIZIO DELL’INDUSTRIA 4.0

“Il power to gas apre alla produzione non solo di energia, ma anche di una serie di prodotti chimici come l’ammoniaca, il metanolo, l’isopropanolo”, spiega Antonucci. “In questo modo ci si collega a un modello di chimica diffusa basata non su mega strutture di difficile collocazione sul territorio e di complessa gestione ambientale, ma su una serie di impianti che utilizzano energia rinnovabile per arrivare a prodotti chimici che inglobano CO2: un mix articolato di vantaggi. È uno scenario legato all’industria 4.0 che può interessare, ad esempio, anche le acciaierie”.

Si tratta di calcolare l’efficienza delle varie filiere. “Ricavare l’idrogeno dall’acqua utilizzando le rinnovabili ha un’efficienza del 94-95%”, continua Antonucci. “Trasformandolo in metano si arriva a un’efficienza dell’80%. In alternativa si possono ottenere combustibili liquidi recuperando la CO2. Si arriva così al cosiddetto gas di sintesi, caposaldo della chimica fine in Italia. Da lì è possibile ottenere composti chimici come l’ammoniaca. Attraverso queste trasformazioni chimiche l’idrogeno potrebbe essere trasportato facilmente senza idrogenodotti e ritrasformato successivamente in gas. Un’altra quota di idrogeno potrebbe poi viaggiare mischiandosi al gas nei metanodotti. Sono possibilità che stiamo studiando: il CNR-ITAE di Messina ha creato una stazione di rifornimento di idrogeno a Capo d’Orlando utilizzando fondi del Miur. Vi sono anche un progetto di minibus per la distribuzione di merci alimentati da idrogeno ottenuto con energia solare  e uno storage elettrochimico non collegato alla rete”.