Rete, territorio, società: i benefici delle comunità energetiche

L’analisi di RSE sulle comunità energetiche già attive.

APPROVATO IL DECRETO CHE RCECEPISCE DIRETTIVA RED II

L’entrata in vigore del decreto che recepisce la direttiva RED II, segna un ulteriore passo in avanti per lo sviluppo delle comunità energetiche in Italia. Ora la palla passa ai ministeri competenti e all’Arera che dovranno emanare i decreti attuativi e ridefinire lo schema regolatorio e i meccanismi incentivanti. Nel frattempo, la ricerca su queste nuove configurazioni prosegue per capire le possibili migliorie da apportare e provare a tratteggiare ulteriori scenari di sviluppo.

RSE da tempo monitora la diffusione delle comunità energetiche e gli schemi di autoconsumo collettivo. Nel triennio 2019-2021 della Ricerca di Sistema ha realizzato un progetto di analisi di alcuni progetti pilota sparsi su tutto il territorio italiano: uno studio su 6 comunità energetiche e su 9 schemi di autoconsumo collettivo. Le due formule si differenziano per vari aspetti. Le comunità energetiche hanno un’estensione più ampia: coinvolgono privati, enti locali, attività produttive, università. Mentre gli schemi di autoconsumo collettivo riguardano, generalmente, condòmini di uno stesso stabile che condividono la produzione e il consumo di energia da fonti rinnovabili.

L’ANALISI DI RSE SULLE COMUNITÀ ENERGETICHE

“La nostra analisi si è concentrata su tre aspetti chiavi: energia, territorio e impatti sociali – ci dice Guido Coletta di RSE – L’analisi degli aspetti più propriamente energetici ha confermato la necessità, recepita nel recente decreto, di estendere il perimetro della comunità energetica alla cabina elettrica primaria”. Nella prima fase transitoria, infatti, i soggetti che potevano “consorziarsi” erano circoscritti a quelli connessi alla stessa cabina elettrica secondaria di media e bassa tensione. Per semplificare, possiamo dire che le cabine secondarie sono l’ultimo anello della catena di distribuzione dell’energia elettrica, prima dell’arrivo ai contatori. “Una cabina secondaria – spiega Coletta – copre un numero limitato di utenti. All’incirca un quartiere di una piccola cittadina. In molti casi il limite per gli impianti di 200 kW era molto più in là della reale hosting capacity (la capacità di accogliere nuova generazione distribuita, ndr) di queste reti. Un’impostazione del genere ha effetti limitati sul sistema. L’estensione alla cabina primaria consente di aggregare un maggior numero di utenze e, in ottica futura, di fornire servizi di bilanciamento alla rete di trasmissione nazionale”.

Benefici per la rete, quindi, ma non solo. “Queste iniziative – prosegue Coletta – hanno ricadute positive sul territorio, non solo ambientali. Un beneficio di tipo diverso può essere la creazione di filiere locali. Faccio l’esempio del comune di Tirano, in provincia di Sondrio, una centrale termica a biomassa fornisce il teleriscaldamento a tutta la comunità. La centrale è alimentata da scarti o da residui dell’attività di manutenzione del bosco. Un’attività che da onere per l’amministrazione è divenuta occasione di sviluppo di un’attività imprenditoriale”.

LA MAPPATURA REALIZZATA CON LUISS BUSINESS SCHOOL

L’esempio di Tirano offre lo spunto anche per un’altra valutazione, utile a uno sviluppo “ragionato” delle comunità energetiche. “È chiaro che al momento il fotovoltaico la fa da padrone – aggiunge Coletta – ma bisognerà diversificare il mix energetico. Il fotovoltaico, per sua natura, comporta una serie di limitazioni. Sarà necessario sempre più attingere ad altre risorse, non escludendo quelle fonti rinnovabili maggiormente programmabili. Penso alle biomasse, ma anche all’idroelettrico da bacino fino alla geotermia”

Le comunità energetiche hanno poi rilevanti impatti sociali. E ciò emerge chiaramente anche dalla mappaturacurata da RSE in collaborazione con Luiss Business School. Uno studio che ha permesso di individuare tre diversi modelli organizzativi: la comunità energetica promossa da associazioni del territorio, come per esempio quella nata a San Giovanni a Teduccio, periferia est di Napoli; la comunità energetica promossa da soggetti esterni al territorio, i community energy builders, come il caso di Geco a Bologna, in cui tecnologie innovative sono state applicate in un contesto di edilizia pubblica nel quartiere periferico del Pilastro; e poi la comunità energetica guidata dalle amministrazioni comunali, come nel caso della CER di Biccari (Foggia), nata dall’iniziativa imprenditoriale di un giovane sindaco, con un modello di sviluppo energetico molto rilevante per le aree interne del Paese. “È cruciale il coinvolgimento attivo delle pubbliche amministrazioni – conclude Coletta – Per garantire il successo di queste iniziative è quindi fondamentale la formazione delle amministrazioni locali. Sono loro che possono aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei cittadini su questi temi”.