Ricostruzione: quando sicurezza ed efficienza procedono su binari separati

La fase di ricostruzione che si apre a seguito dei recenti eventi sismici nel Centro Italia potrebbe essere una occasione per migliorare notevolmente l’efficienza energetica anche del patrimonio immobiliare storico. A fronte di un contenuto aumento dei costi, la necessaria (e improrogabile) messa in sicurezza potrebbe coniugarsi con interventi di efficientamento. Ma l’attuale sistema normativo non è premiante e quindi spesso gli interventi strutturali peggiorano i consumi energetici. Con un evidente spreco di risorse, specie nel caso degli edifici pubblici.

“La semplice scelta di un intonaco più prestazionale dal punto di vista energetico, applicato su una muratura in pietrame esistente, può determinare una riduzione della dispersione di calore anche del 60/70%, il che equivale quasi a raggiungere la prestazione energetica di una tamponatura di nuova costruzione. Ma nel 95% dei casi si continua ad utilizzare l’intonaco tradizionale”. Ad affermarlo è Antonio Mannellaricercatore dell’Istituto per le tecnologie della costruzione del CNR a L’Aquila, che da un anno sta studiando l’interazione tra gli interventi di efficientamento energetico e quelli di miglioramento sismico nell’area del cratere aquilano.
“Considerando 1 l’efficienza energetica di una muratura nuova, una muratura in pietrame esistente disperde 4, quattro volte di più. Avendo un po’ di accortezza nell’esecuzione dell’intervento di miglioramento sismico questo valore può scendere a 1,5. Questo sarebbe il risultato ottimale da raggiungere con un incremento di spesa che, in base a materiali e tecniche, può variare tra il 20% e il 25%. Secondo le nostre simulazioni potrebbe essere ammortizzato nell’arco di soli tre o quattro anni”. Alcune scelte in fase di progettazione possono fare la differenza: si va dall’intonaco, elemento di finitura che come abbiamo visto può incidere notevolmente, a materiali dalla minore conducibilità come le malte a bassa conducibilità per le iniezioni o l’utilizzo di fibre di vetro o carbonio per il collegamento dei paramenti murari, esterno e interno.

Per favorire questo approccio contestuale a sicurezza e efficienza, andrebbe però fatto un passo in avanti da punto di vista normativo. “La normativa che riguarda edifici vincolati o le abitazioni nei centri storici è particolarmente permissiva se paragonata a quella per le nuove costruzioni che impone elevati standard per i consumi energetici: oggi, nei centri storici, si rischia di spendere risorse ingenti per migliorare soltanto la vulnerabilità sismica, tralasciando del tutto l’efficientamento”. La ratio sta nella necessità di tutelare il pregio architettonico. Tuttavia, con le tecnologie odierne in molti casi è possibile un miglioramento dell’efficienza che non snaturi le caratteristiche estetiche dell’immobile. “Nel post sisma a L’Aquila, fin quando c’è stata la struttura commissariale – prosegue Mannella – era previsto un contributo specifico per migliorare l’efficienza energetica degli edifici danneggiati dal terremoto che ha consentito in molti casi di raggiungere la classe B. Oggi gli edifici storici che vengono riparati sono in classe G e dopo l’intervento rimangono tali, poiché gli interventi di efficientamento energetico non sono più incentivati”. In alcuni casi addirittura i consumi aumentano: “È una controindicazione correlata alle caratteristiche delle malte storiche. Sono malte migliori dal punto di vista dell’efficienza poiché hanno un’elevata componente di vuoti dovuti alla presenza della calce, ma hanno caratteristiche meccaniche scadenti. Oggi le malte impiegate per gli interventi di riparazione sono migliori dal punto di vista strutturale ma carenti dal punto di vista dell’efficienza energetica”. Qui l’ostacolo non sta nella normativa ma nella produzione e commercializzazione: “Non esistono sul mercato malte che siano prestanti in entrambi gli ambiti. Stiamo cercando di stimolare i produttori a dare alle loro malte una doppia certificazione, sia energetica che meccanica”. Mannella sottolinea infine un problema di carattere culturale: “In genere il progettista strutturale ha una formazione diversa rispetto a coloro che lavorano sull’efficienza. Andrebbe stimolata una maggiore integrazione tra queste figure professionali”.

Di Francesco Sellari